Archivi del mese: ottobre 2009

Silenzio per i morti

E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto
di vedovili lagrime innaffiati,
proteggete i miei padri: e chi la scure
asterrà pio dalle devote frondi
men si dorrà di consanguinei lutti,
e santamente toccherà l’altare.
Proteggete i miei padri. Un dí vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
e interrogarle.

Ugo Foscolo, Dei Sepolcri, 1807

Caro papà,

arrivano puntuali i giorni dei morti e forse è meglio così, che io venga a ricordati di fronte alla tomba. Perché non è che tra i vivi le cose vadano per il meglio. Il mondo non va più a puttane, ma a transessuali.

La famiglia vive soprattutto nelle pubblicità della Barilla e il senso del peccato è bandito dai manuali che ci propinano ogni giorno.

Però arrivano i giorni dei morti, accompagnati dal tepore di fine novembre e dalla nebbia che di sera si leva dai campi. E allora chiudiamo qui per un po’ perché è tempo di dovervi ricordare. All’ombra dei cipressi.

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FareFuturo si è smarrita nelle nebbie galliche

Dalle parti di FareFuturo hanno preso una brutta piega, quella di mettersi a giocare a cosa sia di destra e cosa no. Un meccanismo malefico che finisce per diventare perverso: se sei dei nostri, bene; altrimenti finisci per essere il solito reazionario che non sta al passo con i tempi. E così se questa estate erano stati sdoganati gli emo, passando per il successo cinematografico di “Twilight”, oggi è il turno di Cesare, inteso come il protagonista del fumetto “Asterix ed Obelix”: oggi, 29 ottobre, ricade il cinquantenario dalla prima pubblicazione dell’opera di Goscinny e Uderzo.

“Nella perenne sfida tra le legioni romane e i forsennati abitanti del villaggio, noi stiamo con Cesare, con la Roma simbolo di modernità e multiculturalità”, scrive Domenico Naso sul numero on line in queste ore. Perché da quella Roma è nato “il primo modello multiculturale degno di nota della storia, ben prima dell’epopea americana”. E britannica, aggiungiamo noi che crediamo che la democrazia statunitense sia figlia del parlamentarismo di Londra. Al contrario, i Galli sono l’”esempio di una cultura identitaria stantìa, il simbolo di una difesa della tradizione a oltranza e fine a se stessa”. “Oltranzisti localisti, nemici a prescindere dello ‘straniero’ e di ogni forma di melange culturale. Diciamolo pure senza problemi: sono leghisti”, rincara la dose l’autore.

Molto più che contadini scesi a valle – Il che è tutto molto bello e molto interessante, se non fosse che – magari – si tralasciano alcuni fattori. Certo, l’Impero romano è stato un modello straordinario di civiltà, finché non è finito vittima del suo steso multiculturalismo, smarrendo la propria identità – anche autoritaria – di imperium e finendo per l’essere travolto da se stesso, prima che dalle invasioni barbariche, capaci poi di ricostruire nuove tradizioni come quella dei Longobardi, per anni considerati semplici contadini scesi  valle e invece rivalutati negli ultimi anni.

E poi siamo sicuri che i galli Asterix ed Obelix siano rappresentanti di “un’enclave tradizionalista” che odia il progresso e la contaminazione con ciò che sta fuori dal villaggio, per partito preso. Domenica Naso gioca addirittura la carta Tav: “Asterix vede un acquedotto romano, oggi come allora esempio magnifico di architettura e ingegneria, ed esclama: ‘Sono pazzi questi romani. Stanno rovinando le nostre valli’. È la versione fumettistica del No Tav, del not in my back yard”. Strano, perché i leghisti vorrebbero tanto che certe faraoniche opere in programma lungo la penisola, vengano sacrificati al momento per costruire la Bre-Be-Mi, la Pedemontana, oltre che per sistemare tangenziali ormai sopraffatte dal traffico. E in un passaggio finisce addirittura per paragonarli ai nazisti che non sopportavano il jazz perché suonato dai neri.

La nuova Europa – Eppure questi Galli, la cui vita è “intrisa di tradizionalismo e di totale chiusura nei confronti dell’innovazione”, non erano una popolazione monoculturale, ma vissuta in diverse regioni dell’Europa. Certo sulla base di una tradizione culturale comune (altrimenti che tradizione culturale sarebbe?), ma che si è contaminata oltre che con quella romana, anche con quella celtica, sassone, ligure, veneta ed etrusca: guarda caso, gente che pare abbia a che fare con la storia d’Italia. E prima che Cesare arrivasse dalle loro parti esportando il latino, utilizzavano l’alfabeto greco nelle sfere di comando. Dalla Gallia Aquitania è nato il regno dei Franchi, origine di un nuovo corso della storia politica e cristiana dell’Europa.

Insomma, non è forse troppo per una popolazione che magari avrebbe visto di cattivo occhio la destra “di Marinetti, dello slancio impavido e quasi un po’ sconsiderato verso il futuro”? Sì, ma a FareFuturo ormai sono troppo abituati a dire “questo sì e questo no” che forse non ci hanno fatto caso.

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Bersani ha votato 25 volte

Da Notapolitica.it

Camicia bianca, maglione grigio chiaro e una giacca blu sulle spalle. Niente cravatta. Pierluigi Bersani, nuovo segretario del Partito democratico, si è presentato così al seggio allestito in via XXIV Maggio, nella sua Piacenza, dove ha ottenuto all’incirca il 65% dei consensi.

«Una chiave che può farmi comprendere dagli italiani – ha detto ai giornalisti che lo seguivano – è anche il carattere piacentino, a noi piace essere normali». Ammesso che sia vero che ai piacentini piaccia essere normali, c’è qualcosa che stride nelle dichiarazioni di Bersani. Dopo aver votato, assieme alla moglie e alle due figlie, invece di lasciare i due euro previsti dall’organizzazione, ha regalato una banconota da 50. Per poi aggiungere alle parole precedenti che una delle priorità della sua Piacenza è «il lavoro».

La crisi economica si è fatta sentire anche nel capoluogo emiliano, dove sotto pressione sono le piccole-medie imprese che caratterizzano il territorio. Ma Bersani ha pensato bene di cavare di tasca comunque 50 euro, alla faccia della crisi. E di quella parte di elettori del Pd che faticano a tirare a fine mese. Se il motto di queste ore del neo segretario è, appunto, quello di essere “normali”, Bersani si è immediatamente tradito. Il suo voto non vale 2 euro come quello della gente normale, ma venticinque volte tanto.

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Ma sono davvero più bravi?

Simone è un bravo ragazzo che segue la politica e finisce per dannarsi l’anima. Ma qualche volta si lascia prendere la mano dagli eventi e, forse, va troppo lontano. Commentando le primarie del Partito democratico, azzarda:

Chi scrive non riesce a nascondere un pizzico di invidia per quanto succede sulla riva sinistra del fiume e proprio non riesce a non dispiacersi del fatto che il centrodestra non sappia importare un modello, quello americano delle primarie, che dovrebbe essere nel dna di una forza autenticamente conservatrice.

Da queste parti, l’invidia è l’ultimo dei sentimenti provati nei riguardi della riva sinistra del fiume. Perché se quelle del Pd sono state primarie improntate su un “modello americano”, allora i conti non tornano. Basta riepilogare il regolamento di voto per capirsi: votano gli iscritti, votano tutti, vota l’assemblea dei delegati. Se Bersani non avesse ottenuto il 50%+1 dei consensi, la sua nomina a neo segretario sarebbe stata decisa da un congresso dove anche l’ultimo arrivato, Marino, avrebbe avuto un peso maggiore di quello attribuitogli dalle urne. E avrebbe dato inizio al gioco del compromesso, che al contrario non dovrebbe influenzare la partecipazione popolare.

Ovviamente, anche da queste parti farebbe piacere vedere applicati “merito, competizione, opportunità” per nominare i gradi più alti del Popolo della libertà, nel disperato tentativo di importare in Italia un concetto americano ben più importante: che un partito riguarda tutti, non solo chi va in giro vantandone una tessera. Ma arrivare a dire che sulla riva sinistra sono stati più bravi di quelli che stanno sulla riva destra, tornando a sventolare la triste esperienza dell’Unione, ne scorre di acqua sotto i ponti.

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I malati di sesso del Pd – continua

Questa estate avevamo postato questo pezzo, “La questione morale e i malati di sesso del Pd“, che rimane uno dei più attivi e letti su questo blog. Non ce ne meravigliamo: d’altronde non si fa altro da parecchio tempo a questa parte che sbirciare nella serratura della vita privata dei nostri politici, soprattutto se sono presidenti del Consiglio.

Ma c’è dell’altro: che nel centrosinistra, a furia di guardare nel letto altrui, non si sono accorti di chi sguazzava nel proprio. Uno stupratore seriale, il medico indicato nel post linkato e, dulcis in fundo, un governatore regionale. Non è che ci fanno una grande figura, ecco.

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La stagione dei capricci

La storia è vecchia quanto il mondo: spesso gli uomini quando ottengono una cosa, finiscono per pretenderne un’altra. Gli uomini di potere non sono da meno e, per quanto dovrebbero fare i conti con la responsabilità che si ritrovano, sembrano quasi divertirsi a dare il via ad una girandola di dichiarazioni e capricci che fanno fare loro solo una brutta figura. Così veniamo a sapere che ieri, ad Arcore, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha chiesto la vicepresidenza del Consiglio, la testa di Gianni Letta e un ruolo chiave nel Popolo della libertà. E sappiamo che Gianfranco Fini avrebbe messo in guardia il Cavaliere: “Se cedi, è la fine del berlusconismo”. Un’affermazione strana per il presidente della Camera che ha trascorso gli ultimi mesi a mettere in giro un distinguo dietro l’altro, al punto che è lecito pensare che a volere la fine del berlusconismo sia lo stesso Fini.

La maggioranza di centrodestra, da qualche giorno a questa parte, ha fatto i conti con il fantasma della crisi di governo, che non era trapelata nemmeno dopo la bocciatura del lodo Alfano da parte della Corte costituzionale. Sarebbe davvero una commedia che le crepe si rendessero insanabili adesso, pensando che il tutto è partito da un’uscita azzardata di Tremonti sul posto fisso. Che ha scatenato alcune proteste all’interno della maggioranza, come era ovvio che fosse. Ma giungere al capolinea legislativo sarebbe troppo.

Ed invece, i capricci ci sono e stanno facendo male tanto al Pdl quanto alla Lega Nord, dal momento che si ritrovano sulla stessa barca. Manca un’opposizione seria, chiamata ad eleggere un segretario dopo una gestazione infinita, e così a Berlusconi è andata bene: se fosse stato il contrario, se il Pdl e la Lega avessero trovato in Parlamento un Partito democratico organizzato e compatto, i piagnistei da bambini che si sentono giungere da Palazzo Chigi sarebbero costati molto cari. E pensare che una maggioranza così, forse, al governo non capiterà mai più.

Il complesso universo economico italiano ha bisogno di trasformazioni: liberalizzazioni, abbassamento delle tasse, burocrazia alleggerita, imposte da eliminare, riforma degli ordini professionali. Al contrario, la polemica monta per un posto fisso (prima questo governo crea lavoro, prima ci saranno posti di lavoro ed allora il tutto passerà in secondo piano) e una carica in più dentro al giocattolo-governo. A ciò, si aggiungono i tentativi di defenestrazioni che passano sotto il nome di documenti anti-Tremonti. Di cui nessuno ha negato l’esistenza, sia chiaro: dai vertici del Pdl, infatti, qualcuno si è lasciato scappare un “sì, sono documenti che arrivano sul tavolo di continuo, ma non ci abbiamo fatto caso”.

I più ottimisti indicano una strada risolutiva: le elezioni, convinti che Silvio Berlusconi da solo possa tenere in piedi la baracca e ottenere un nuovo – l’ennesimo – ampio consenso. Ma la matematica, in politica, si trasforma in opinione: come si giustificherebbe il Cav. di fronte agli elettori che solo nella primavera scorsa gli hanno chiesto – per l’ennesima volta – di mettere un po’ d’ordine in questa Italia? Gli elettori non sono così cretini come qualcuno potrebbe credere facendo affidamento sui numeri sfornati dai sondaggi, che non tengono conto di una variabile: il rompimento di palle per i capricci che fa chi ha già tanto e pretende ancora di più.

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Il Pdl si agita per un documento “che non esiste”

Quel documento non esiste. Anzi, sì. C’è, è saltato fuori su qualche tavolo di lavoro. Ma non è niente di che. Ieri sera i vertici del PdL si sono dati da fare per serrare i ranghi non tanto attorno a Giulio Tremonti, quanto a se stessi. Basta dare un’occhiata alle agenzie che si sono susseguite nell’arco di pochi minuti.

Una volta che l’esclusiva di Notapolitica ha fatto capolino nel dibattito, si è mosso uno dei diretti interessanti, Claudio Scajola: «Non ho partecipato alla stesura di alcun contro-documento di politica economica, né ad alcuna iniziativa per “ridimensionare” il ministro Tremonti. Con il collega Tremonti ci confrontiamo quotidianamente, lealmente e in spirito di collaborazione».

(continua su Notapolitica.it)

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Guerra incivile

L’Italia ha vissuto la stagione del terrorismo, senza mai liberarsene completamente. D’altra parte, alcuni volti armati di quell’epoca popolano ancora la vita civile e c’è pure chi compare nelle televisioni o scrive sui giornali in veste di opinionista. Basta questo per chiarire molte altre cose. Ma c’è di più: c’è che il clima degli ultimi mesi fa pensare e, in alcuni momenti, addirittura tremare. L’ultimo caso arriva da Facebook, luogo virtuale popolato anche da millantatori, esagerati, malati di mente liberi di circolare. E qualcuno di questi deve aver avuto l’intuizione di lanciare il gruppo “Uccidiamo Berlusconi”.

La notizia si è sparsa, ha fatto il giro delle redazioni mentre gli iscritti sono cresciuti di ora in ora, superando quota dodicimila. Qualche membro ha cercato di smorzare gli animi, precisando che vogliono il Cav. “morto, politicamente si intende”. Peccato che pochi secondi dopo, un altro mentecatto pubblica il video dell’esecuzione di Maria Antonietta, tratto dal film di Sofia Coppola. Gente che ci mette il volto, ma soprattutto il nome ed il cognome.

Ecco: se fossimo un Paese serio, queste persone andrebbero indagate per minacce nei confronti di una delle più importanti cariche dello stato. Perché piaccia o meno – e in questo caso proprio non piace -, Berlusconi è il presidente del Consiglio, il capo di un governo che è sostenuto da una maggioranza voluta dai cittadini che si sono recati alle urne. Il ragionamento fila ed è, tutto sommato, logico. Qui la libertà di espressione non c’entra un fico secco.

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Ministro, risponda

«Se Tremonti vuol dire che la sicurezza del lavoro e del reddito è un bene della vita, dice solo un’ovvietà. Se invece vuol dire che questo bene si può proteggere efficacemente ancora oggi secondo il vecchio modello del posto di lavoro a vita allora la sua affermazione è demagogica»

Pietro Inchino, senatore Pd.

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I complessati

C’è qualcosa di preoccupante in certe uscite che arrivano dal centrodestra. Prima un Gianfranco Fini secondo il quale l’integrazione passerebbe per un’ora di religione islamica nelle scuole. Poi un Giulio Tremonti secondo il quale la mobilità del posto di lavoro non è un valore di per sé. Prese di posizioni rispettabili, non c’è dubbio, stando al sano principio della democrazia, ma che paiono nascondere un brutto vizio all’interno del PdL: quello di soffrire di un complesso di inferiorità nei confronti di alcuni cavalli di battaglia della sinistra.

E’ ironico: perché proprio nel momento in cui la sinistra italiana deve fare i conti con l’assenza di un progetto, offuscata com’è dall’odio personale nei confronti di Silvio Berlusconi, torna alla ribalta il buonismo sociale. Integrazione forzata da una parte, mettendo ulteriormente a repentaglio un’identità già scricchiolante della tradizione italiana, e messaggi che stridano con la situazione economico-lavorativa dei giorni nostri.

Ovvio che il posto fisso sarebbe la base più comoda sulla quale coltivare il progetto di una famiglia. Il problema è che, in periodi come questi, anzitutto andrebbero creati dei posti di lavoro attraverso una radicale riforma del mercato del lavoro che in Italia è ancorata ad un sistema corporativistico e imprigionato dalle maglie di sindacati più orientati a difendere i privilegi dei loro iscritti (nella maggior parte pensionati o pensionandi), piuttosto che quelli di chi bussa alla porta, ma trova sempre chiuso.

Lo scorso autunno questo governo si trovava di fronte alla sfida della scuola e della riforma Gelmini. Proprio il ministro dell’Istruzione dichiarava, il 16 novembre 2008, che  questo “per certi versi è un governo di sinistra”, dal momento che “noi mettiamo al centro non solo il ceto medio, ma anche quelle famiglie che faticano ad arrivare a fine mese, quelle famiglie che fanno molti sacrifici per far studiare i propri figli”. Come se un esecutivo di centrodestra non avesse il dovere di preoccuparsi delle famiglie che arrivano a fine mese. Una uscita mal calcolata che seguiva di pochi giorni una delle tante in cui un altro ministro, Renato Brunetta, va ripetendo che il centrodestra berlusconiano è la vera sinistra in Italia.

Era il periodo dell’infatuazione anche nel PdL per Barack Obama, ma era altrettanto evidente che non si trattava di un semplice innamoramento. Il fatto è che in questa maggioranza troppo spesso si registrano sterzate non gradite al vero elettorato di una forza, almeno a parole – ma nemmeno troppo, a questo punto – liberale o quanto meno conservatrice. Sarebbe forse il caso che si abbandonassero le polemiche legate alle vicende private del premier e si tornasse, al prossimo Consiglio dei ministri, a parlare di argomentazioni serie. Un suggerimento: davvero Tremonti vuole garantire un posto fisso a tutti? Bene, allora cominci a cambiare il mondo del lavoro. Poi ne riparleremo.

Quanto a Fini, occorrerebbe una folgorazione stile san Paolo.

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