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Il Regno dopo la festa

Smaltita la sbornia, è ora di cercare di capire cosa significhi per la Gran Bretagna il tanto celebrato Royal Wedding. Perché non è stato solo il pretesto per scatenare il gossip, la cronaca rosa e per spedire giornalisti a Londra in caccia di notizia, prontamente apprese dai quotidiani locali o internazionali. Non è stata solo l’occasione per alcuni cosiddetti esperti di dare i voti agli abiti, ai cappelli, ai fiori, agli abbinamenti dei colori e di porsi domande esistenziali (una su tutte quella di Francesca Senette su La7 che, turbata dall’eventualità del cattivo tempo, si è chiesta se Kate Middleton indossasse biancheria intima bianca sotto il vestito da sposa). Il Royal Wedding avrebbe potuto fornire una panoramica sullo stato di salute di quello che fu un impero, poi uno stato che si è trovato da solo a contrastare l’espansione nazista, poi un regno dove hanno trovato spazio alcune rivoluzioni culturali e popolari del Novecento.

(continua su Notapolitica.it)

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Big Society. Sorry?

È una questione di priorità. Per il Primo ministro conservatore David Cameron è la Big Society, punto centrale del manifesto politica presentato nel corso della campagna elettorale della scorsa primavera. Cosa sia di preciso non si sa e anche per questo è una priorità: nel senso che qualche chiarimento farebbe comodo, anzitutto allo stesso Cameron che non si è ancora scrollato di dosso quell’aurea un po’ fumosa che lo accompagna da tempo, ormai.

Tant’è: lunedì di fronte ad una platea fatta di gente che si rimbocca le maniche nel sociale, accompagnata da alcuni imprenditori che operano in questo settore, ha fatto sapere che per lui è un “dovere” quello di sistemare la cose in Gran Bretagna che va al di là delle tante critiche sollevate dai piani economici, tra spese tagliate e tasse in aumento. Il dovere di ridurre il debito pubblico passa da qui, oltre che dalla manovra di 113 miliardi di pound varata negli scorsi mesi sotto la regia del Chancellor George Osborne. E se alcuni servizi non potranno essere adeguatamente prestati dallo Stato, tanto meglio perché a quel punto sarà la Big Society a sopperire alle mancanze e, indirettamente, a respingere i tentacoli dell’assistenzialismo e dello statalismo in generale.

“Non ci renderà popolari”, ha avvertito il messianico David. “Ci renderà infatti impopolari. Mi renderà impopolare”, ha sottolineato con la retorica che lo caratterizza, “ma questo è il mio dovere: dobbiamo farlo per il bene del Paese”.

Un progetto che non piace a molti, soprattutto ai sindacati. Bob Crow, che guida quello dei trasporti, ci è andato giù pesante accusando Cameron di voler sostituire le “lollipop ladies”, le vigilesse che regolano il traffico all’uscita dalle scuole dei ragazzi con dei volontari, “mentre ai banchieri responsabili di questa crisi si prospettano altri sei miliardi di sterline come bonus”.

Ma la priorità del Primo ministro dovrebbe essere un’altra: quella di farsi capire. A gennaio il 63% dell’elettorato britannico non aveva ben chiaro o non capiva del tutto cosa significasse la politica della Big Society. Nelle ore successive al discorso di Cameron, la percentuale è salita al 74%.

L’idea più chiara di tutti forse ce l’ha Tony Blair: “Aspettiamo e vedremo in cosa consiste”. Pure un volpone come lui ha rinunciato a capire Cameron.

(da Rightnation.it)

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Rette, mense e genitori

Strano mondo. Tenere i bambini a pane e acqua non è un piacere, hanno da crescere e quindi bisogno di mangiare. Però il mangiare costa ed è per questo che le scuole chiedono ai genitori dei ragazzini di pagare le rette: tu paghi e la scuola ti rende un servizio. Capita che qualcuno non lo faccia, che la scuola chiuda un occhio una volta, un altro occhio un’altra volta, ma alla terza non può farci nulla se il babbo e la mamma perseverano.

E allora via, accuse a tutto spiano al preside di turno colpevole di accanirsi sul più debole, l’alunno indifeso. Mai, mai una parola sul comportamento dei genitori. Davvero strano questo mondo.

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Ci portano via tutto e ci infilano un casco

Luigi Ceffalo è un fedele lettore di questo blog, oltre che un ragazzo in gamba – e non perché è un lettore di questo blog. Tramite “Il Fogliaccio”, quadrimestrale del Club dei 23, abbiamo letto questo post pubblicato lo scorso aprile su chicago-blog sotto il titolo “Epicèdio sentimentale della bicicletta senza casco“. Lo riproponiamo con gusto.

Ci stanno portando via tutto. Non ce ne accorgiamo ma ci stanno portando via tutto. Legge dopo legge. Codicillo dopo codicillo. Emendamento dopo emendamento. Senza troppo chiasso. Perché quando si tratta di dar del danno non c’è uno straccio di opposizione, non c’è un surrogato di corrente (né antica né moderna), non c’è un facsimile di movimento: niente. Ci stanno portando via tutto. Non soltanto parte significativa del nostro tempo, non soltanto quasi metà del nostro reddito, non soltanto il 49% della nostra libertà. Ci stanno portando via tutto. Non soltanto il nostro presente fatto di quotidiani affanni burocratici, di continue batoste fiscali, di onnipresenti insensati divieti e obblighi. Ci stanno portando via tutto. Non soltanto il nostro passato fatto di valori, tradizioni e consuetudini troppo genuine per essere compatibili con spietati programmi ministeriali di solidarietà pubblica e dunque laica. Ci stanno portando via tutto. Non soltanto il nostro futuro e quello dei nostri figli che dovranno vedersela con uno dei debiti pubblici più grandi del mondo, un sistema previdenziale insostenibile e in generale un’economia (e quindi una società) al collasso.

Ci stanno portando via tutto. Non soltanto ciò che abbiamo. Ci stanno portando via tutto. Anche ciò che siamo. Siamo stati creati intelligenti, capaci di badare a noi stessi, in grado di valutare i rischi e le insidie della vita. E ora stiamo forzosamente diventando stupidi, pavlovianamente dipendenti dallo Stato, senza facoltà di discernimento. Dio ci ha creato responsabili; il parlamento ci sta facendo irresponsabili. Per legge non possiamo anzi non dobbiamo più pensare alla nostra salute. Siamo tenuti invece a sottoscrivere una polizza in bianco al sistema sanitario nazionale. Pagando un “premio” che si fa sempre più alto in funzione degli insaziabili appetiti dei nostri governanti. Prima è stata la volta dell’obbligo di cintura in macchina; e superficialmente abbiamo detto: “sì, in effetti ci sono tanti incidenti, forse vale la pena di patire sempre quel terribile fastidio al collo: tanta gente avrà salva la vita e forse anch’io”. Poi è toccato all’obbligo di casco sui motorini; e abbiamo ancora giustificato l’imposizione riflettendo: “eggià, quanti ragazzini potrebbero farsi male e perfino lasciarci la pelle: son pur sempre veicoli motorizzati che possono raggiungere 50-60 Km/h…”. Quindi a essere finito nel mirino dei legulei salutisti è stato il fumo e ancora abbiamo supinamente concluso: “beh sì, il fumo è cancerogeno, non è poi così grave che nei locali (privati!) destinati al pubblico non si possa fumare, lo si può sempre fare fuori senza troppi incomodi”.

Ma adesso a essere bersaglio del parlamento è pure la bicicletta. Anche per guidare il caro vecchio velocipede a pedali l’uso del casco sarà coatto a pena di sanzione. E allora pensiamo alla nonna che ci accompagnava all’asilo sul portapacchi della “Graziella” con in testa solo un coloratissimo “mandillo” fiorito (che le aveva insegnato a portare sua madre e che non aveva dismesso perché aveva avuto la fortuna di andare a scuola solo fino alla terza elementare). Pensiamo a come allora ci sentivamo sicuri: di certo più sicuri di quanto ci potremo sentire con tutti i caschi omologati del mondo. Pensiamo poi alle prime scorribande adolescenziali che nella bicicletta hanno trovato non solo un mezzo ma anche una filosofia, quella dei primi allontanamenti senza la presenza talvolta ingombrante dei genitori, che in futuro saranno seguiti da contravvenzioni e sgridate. Pensiamo agli amori della gioventù, a quanto era bello portare “in canna” la fidanzatina che si è amata come nessuna poi mai, affrontare insieme l’aria che si infrangeva fra i capelli e la vita che ci si mostrava per la prima volta nella sua compiuta bellezza. Pensiamo all’importanza di potersi muovere privi dei soldi per la benzina o per il biglietto della corriera senza la paura ansiosa di dimenticare o vedersi rubato un ignobile elmetto di plastica. Pensiamo a tutto questo, e anche ad altro. Pensiamo a quanto siamo stati fortunati a non appartenere alle generazioni che verranno dopo di noi, vittime innocenti della insensibile dittatura del codice della strada. E ci prende un’assurda nostalgia. Vorremmo gridare, berciare, vomitare qualche mala parola verso i responsabili della fine di tutto questo. Ma noi -uomini qualunque che non sappiamo cosa significhi qualunquismo e non ci importa punto nemmeno di saperlo- non lo faremo. Perché sarebbe cedere ai loro facili costumi. Sarebbe dargliela vinta.

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Archiviato in Giovannino Guareschi, società

Fashionable Ladies

Dove c’è Cameron, c’è anche lei: Samantha, la moglie che studia da First Lady britannica e che spera, tra un mese, di accompagnare il marito a Buckingham Palace per ricevere il mandato da Elisabetta II di guidare il Paese. Non è Cherie Blair, fervente repubblicana che impiegava poco tempo per farsi odiare. Samantha ha stile, portamento, charme: non poteva che essere la consorte di David Cameron. Peccato che abbia più stile lei di lui. Tant’è. Detta anche SamCam dai tabloid di Oltremanica, è figlia di Sir Reginald Adrian Berkeley Sheffield, discendente di Carlo II. Si è laureata alla University of West of England ed è durante il periodo da studentessa che ha conosciuto David, sposato nel 1996.

Di professione è creative director per una ditta di prodotti di lusso, la Smythson di Bond Street. E non poteva essere diversamente: fashion è il termine più azzeccato per descrivere l’ambiente dentro il quale si muove e del quale fa fieramente parte. I due hanno avuto già tre figli, compreso il povero Ivan Reginald Ian, venuto alla luce affetto da una rara combinazione di paralisi celebrale ed epilessia e morto la mattina del 25 febbraio 2009, a soli sei anni. Gli altri pargoli di casa sono Nancy Gwen, anche lei di sei anni, e Arthur Elwen, di quattro. A settembre è atteso un nuovo arrivo e chissà che possa crescere tra le mura di Downing Street.

In questa campagna elettorale la diretta rivale non è Sarah Brown, moglie del Primo ministro Gordon. E’ invece Miriam Gonzàlez Durantez, moglie di Nick Clegg, il leader Liberal Democrat. Nata in Spagna, ora ha cittadinanza britannica. Lei e Nick sono convolati a nozze nel 2000 e hanno tre figli (Antonio, Alberto, Miguel): a quanto pare, si è imposta perché i discendenti avessero dei nomi latini accanto ad un cognome come Clegg.

E’ cattolica, il marito è ateo. Esperta di legge e relazioni economiche tra l’Unione europea e il Medio Oriente, lavora per lo studio DLA Piper come capo dell’International Trade Law. Una donna in carriera, come Samantha.

Entrambe non hanno nulla da invidiare a Michelle Obama e Carla Bruni, se non il mestiere dei rispettivi mariti.

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Epifania

Ci concediamo non tanto una licenza poetica, non ne saremmo capaci, quanto semplicemente una licenza. Arriva così l’Epifania, che oggi ci raccontano essere solo la ricorrenza che tutte le feste si porta via. Certa gente dovrebbe ricordarsi almeno qualche istante passato sui libri di greco, alle prese con versioni che non avevano né capo né coda e che nemmeno il Rocci sapeva svelare. L’Epifania è la data della Manifestazione o, meglio ancora, della Rivelazione. Per via del verbo ἐπιφάινω, tradotto “appaio”.

Alza gli occhi intorno e guarda: / tutti costoro si sono radunati, vengono a te. / I tuoi figli vengono da lontano, / le tue figlie sono portate in braccio.

E’ quanto si legge in Isaia giusto per l’occasione. Ai tanti filosofi che si ostinano a descrivere il Cristianesimo come il meccanismo diabolico che rende la gente bigotta, basterebbe ripetere questi versi nei quali viene detto ad ognuno di noi, per interposta persona, di levare lo sguardo e dare un’occhiata attorno a noi. Mica di proseguire come i muli, destinati a lavorare a cottimo. L’uomo, per come la si possa pensare, ha un’anima che non è quella che, in occasione del Natale, si commuove per le luci che arrivano a dipingere di rosa Porta Venezia in quel di Milano. La conferma ci arriva dalla solennità dell’Epifania, con tre saggi, i Magi, che si mettono a percorre chilometri affidandosi al mistero di una stella: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”, domandano ad Erode, così ignorante da essere geloso di un pischello nato in una mangiatoia.

Ci raccontano che dal 7 di gennaio si torna tutti al lavoro e al rompimento di scatole di ogni sacrosanto giorno. Per fortuna, perché non si può passare una vita a poltrire. Ma nell’Italia che nel primo articolo della sua costituzione innalza il lavoro a fondamento della repubblica democratica, finiamo per odiarlo il ritorno al lavoro. E un motivo ci sarà. Come questo blog ricorda a lato aiutandosi con una frase di Cormac McCarthy, “ci sono due cose che contano veramente nella vita di un uomo: trova un lavoro che ti piace e trova qualcuno da amare con cui dividere la tua esistenza. In pochissimi riescono ad ottenere entrambe le cose”. Non compromette il fatto che l’individuo abbia il dovere di sentirsi soddisfatto anche se non riesce ad ottenere il meglio.

Il 6 gennaio, il pischello della mangiatoia si leva il manto che lo avvolge e si presenta per quello che è, si rivela per essere uno come noi, “fatto uomo”, per darci delle dritte su come stare a questo mondo. Non viene a reclutare eserciti e a promettere ciò che non può garantire (tipo le vergini in paradiso? Perché mai, quando sono sulla terra per permettere all’uomo di continuare a vivere?). Con l’Epifania attacca un nuovo anno, tanto che in alcuni luoghi anche d’Italia, si accendono fuochi augurali. Ad esempio, si dà fuoco alla strega (finta, prima che qualcuno torni a tirare in ballo certe brutte storie per vis polemica), messa in cima ad un falò, con l’augurio che l’inverno se ne vada presto e torni la primavera. Nulla è un caso.

Godiamocelo, questo ultimo giorno che per legge ci spetta di vacanza. Dal 7 gennaio torneremo ad essere una repubblica fondata sul lavoro, si spegneranno le luci, verranno disfatti i presepi e in televisione non manderanno più in onda i jingle con le renne e Babbo Natale. E torneremo ad essere i soliti di sempre, in attesa di un altro ponte per le ferie.

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Rigenerando, ancora una volta

A scuola non si copia, ti insegnavano così le buone maniere. Poi si sa, scappava sempre l’occhio sul compito del vicino che, guarda caso, era quello più bravo. E quello più s*****o, perché diceva sempre di non sapere nulla. Lui, il mio socio, ha dato l’assenso a copiare e incollare qui una roba vecchia di un anno, ma troppo bella per non essere ripescata. E’ una gran bella lettura in vista del Natale. Un modo per farvi gli auguri. Pausa sotto l’albero, torniamo più avanti.

Rigenerando, Abr

I beoti (al 50% “cog**oni”, non dimenticarlo mai) si affrettano e s’adoprano onde concluder l’opra delle Feste dei regali e dei Cenoni, affannati per sentirsi parte del rito vano e consumistico dalle vaghe ascendenze religiose. L’attivita’ e’ caratterizzante del Neo Proletariato del Nuovo Millennio: non piu’ Classe bensi’ “Il Consumatore”.
I nuovi Titolari (di Carte di debito come di Diritti e quindi di “tutela” statalista) sono definiti al singolare: una accozzaglia di individui beceri ignoranti e disinformati, monadi sconnesse, piene di risentimento, un tutti contro tutti; ansiosi stressati e infelici quindi aggressivi, privi di identita’ in cui riconoscersi al di sopra dell’Individuo solitario e al massimo del micronucleo familiare.
L’Uomo infatti e’ in primis un nodo di relazioni, prima ancora che individuo; quando rimane solo con la sua pancia e cervello e’ come la scimmia di un girovago: intento a ripetere senza posa lo stesso esercizio privo di senso per un tozzo di pane.
In un Paese dove (dice pare sembra) meta’ degli studenti medi non sa spiegare come mai il giorno segue la notte che a sua volta rimpiazza il giorno, cosa vuoi parlare del Solstizio d’Inverno? Ben che vada, i Pasdaran della mucillagine, quelli che han capito tutto, ti daranno del superstizioso, del tradizionalista, del mistico celtico-evoliano.

Eppure il Solstizio era un Evento che assumeva un valore simbolico in pressocche’ tutte le svariate forme assunte dalla Cultura Umana nell’Emisfero Boreale, liberando quindi il campo da integralismi e settarismi d’ogni tipo.
Nel giorno del Solstizio d’Inverno (21 o 22 dicembre) il Sole, nel suo moto annuo lungo l’eclittica – il cerchio sulla sfera celeste che corrisponde al percorso apparente del Sole nell’anno – viene a trovarsi alla sua minima declinazione e culmina a mezzogiorno alla sua altezza minima: la luce del giorno registra la sua durata minima nell’anno, a quell’ora il sole è allo Zenit lungo il Tropico del Capricorno nell’Emisfero Australe.
Da quel momento di minimo la durata del di’ riprende giorno dopo giorno il suo cammino espansivo, dapprima impercettibilmente poi sempre piu’ sensibilmente. Dall’antichita’ gia’ il fatto che l’avanzare spaventoso della notte si fermasse segnava la Svolta: la Luce riprende a guadagnare spazio, rinnovando il Mondo e la Speranza.
Quell’Evento era celebrato dai nostri antenati gia’ in epoca preistorica e protostorica, ad esempio presso le costruzioni megalitiche di Stonehenge in Inghilterra, di Newgrange, Knowth e Dowth in Irlanda o attorno alle incisioni rupestri di Bohuslan in Iran e della Val Camonica.
Tale evento ispirò successivamente il “frammento 66” dell’opera di Eraclito (560/480 a.C), fu allegoricamente cantato da Omero (Odissea 133, 137) e da Virgilio (VI° libro dell’Eneide). Quel fenomeno era atteso e magnificato da tutte le popolazioni indoeuropee: i Gallo-Celti (“Alban Arthuan”: rinascita del dio Sole), i Germani, i misteriosi Wends-Veneticos ancora piu’ a est lungo la Via dell’Ambra tra mar Valticus e golfo di Venetia, i loro affini Wndals e gli abitanti di Vinlandia nel nord.
Intorno alla data del Solstizio d’Inverno quasi molti popoli hanno celebrato la nascita di loro esseri soprannaturali: in Egitto si festeggiava la nascita del dio Horus e si credeva che suo padre Osiride fosse nato nello stesso periodo; nel Messico pre-colombiano nasceva il dio Quetzalcoath e l’azteco Huitzilopochtli, Bacab nello Yucatan.
Il dio Bacco in Grecia nonché Ercole e Adone o Adonis, il dio Freyr figlio di Odino e di Freya era festeggiato dalle genti del Nord; Zaratustra in Azerbaigian, Buddha in Oriente, Krishna in India, Scing-Shin in Cina. In Persia si celebrava il dio guerriero Mithra detto il Salvatore e a Babilonia vedeva la luce il dio Tammuz, “Unico Figlio” della dea Istar, rappresentata col figlio divino fra le braccia e con un’aureola di dodici stelle intorno al capo.
Nella Romanità si celebrava solennemente la rinascita del Sole, il Dies Natalis Solis Invicti, in una data compresa tra il 21 e il 25 dicembre; era inclusa all’interno di un più vasto ciclo di festività che i Romani chiamavano Saturnalia, dedicate a Saturno Dio dell’Età dell’Oro. A partire dal 217 a .C. queste si prolungavano dal 17 al 25 Dicembre e finivano con le Larentalia, la festa dei Lari, le divinità tutelari incaricate di proteggere i raccolti, le strade, le città, la famiglia.
Il mito narra che anticamente regnasse il misterioso dio italico Giano, l’antica divinità dalle “due facce”, “dio del tempo” e, specificamente, “dell’anno”, il cui tempietto in Roma consisteva in un corridoio con due porte, chiuse in tempo di pace e aperte in tempo di guerra.
Sulla base della sua ancestrale accezione il Gi-anus designa “l’andare” e più particolarmente la “fase iniziale del camminare” e del “mettersi in marcia”: la divinita’ regolava e coordinava l’inizio del nuovo anno, da cui Ianuarius, il mese di Gennaio. Poi dal mare giunse Saturno, che potrebbe essere inteso come la manifestazione divina del Grande Ritorno che ricrea il cosmo a ogni ciclo, colui che attraversa la notte del caos successivo alla dissoluzione per approdare alla nuova sponda, alla luce del nuovo creato. Giano e’ il corridoio lineare del progresso del tempo (annuale), Saturno la ciclica catastrofe caotica e rigeneratrice che ripiega il tempo su se’ stesso e dalla morte genera la vita. Vi è una analogia fra Saturno e il vedico Satyavrata, testimoniata dalla comune radice sat che in sanscrito significa l’Uno.
Quando la notte diviene padrona e il buio totale, è necessario mantenere accesa la fiamma della Fede, che con l’alba diverrà trionfante.
Significativo è il passo evangelico in cui Giovanni Battista, nato nel giorno del Solstizio d’estate, rivolgendosi a Gesù nato nel Solstizio d’Inverno, si pronunci in tal modo: “Bisogna che egli cresca e che io diminuisca”. Parimenti è la rappresentazione classica del dio iranico Mithra, raffigurato mentre uccide un toro con due dadofori ai suoi fianchi che simboleggiano il corso del Sole: Cautes con la torcia verso l’alto (21 Giugno) e Cautopates con la torcia verso il basso (21 Dicembre).
E’ il simbolismo tradizionale delle porte solstiziali che corrispondono rispettivamente all’entrata e all’uscita dalla Caverna Cosmica: la prima porta, quella “degli uomini”, corrisponde al Solstizio d’Estate, cioè all’entrata del Sole nel segno zodiacale del Cancro, la seconda, quella “degli dei”, al Solstizio d’Inverno, cioè all’entrata del Sole nel segno zodiacale del Capricorno.
La rigenerazione cosmica è sempre concepita con la discesa e con l’aiuto di un avatar (guida), di cui il Cristo Redentore è l’ultimo e più splendente esempio:”Il Sole ritorna sempre, e con lui la vita. Soffia sulla brace ed il fuoco rinascerà”.

Tutto cio’ non e’ mistica sincretista o tradizionalista, e’ mera indicazione per sommissimi capi di come le Culture dell’Umanita’ travalichino il tempo e lo spazio (e i limiti dell’Individuo) e possiedano un consistente minimo comun denominatore. Se Dio e’ Colui che E’ atemporalmente, a nostra volta e a Sua immagine noi siamo mille anni prima di nascere e conseguiamo esperienze per mezzo dei nostri Avi. Le ritroveremo nostre, trasferite nel nostro patrimonio (genetico), attraverso sequenze intrecciate fatte di cesure e continuita’, susseguimenti continui e indistinguibili di Cambiamento e Ritorno.
Neppure il Cristianesimo nasce from scratch: si innesta si sviluppa e trae frutti e significati (signum fero: porto simboli) dalle tradizioni preesistenti (la Bibbia e molto, molto di piu’). Perche’ nulla che divenga parte della Identita’ si cala semplicemente dall’alto, con buona pace del termine “Rivelazione”.
Il Natale e’ questo, all’interno della (languente) Identita’ del mio Popolo: per chi Crede e’ la Nascita, per chi non, la Rinascita.
Ovviamente oltre ai due gruppi citati ci sono anche “the others”: moderni, individualisti, fanno parte della crescente schiera a-identitaria del “Consumatore”; novelli ebrei disuniti con Hitler in arrivo, sono destinati a fare una gran brutta fine, accerchiati e stritolati dalla Triade Sinistra: lavoro (“L’Italia e’ una repubblica fondata sull’Arbeit macht frei”) , riduzione delle nascite, immigrazione. La Creazione dell’Homo Novus Omogeneizzatus et Pacifintus: mucillaggine.

Buona Consapevolezza e Rigenerazione per tramite del Solstizio e Buon Natale a tutti – Santo o meno secondo fedi e pratiche (queste si) individuali.

(dati sulle tradizioni e usanze antiche tratti da un articolo Luca Valentini).

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Invito alla lettura

Ci sono storie che non si possono non leggere. Soprattutto se le scrivi tu 😉

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La paura non crea razzismo

Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, da Milano per la Festa della libertà ha detto la sua sugli ultimi accadimenti italiani. La così detta “caccia al negro” secondo i ben informati che rispondono ai nomi di Santoro, Travaglio e Lerner. Per i tre, da quando il centrodestra è al governo il Paese è divenuto razzista e così si spiegano il ragazzo di colore ammazzato a Milano, quello pestato a Parma, la somala all’aeroporto di Roma, il cinese malmenato a sangue sempre nella capitale. Fini, invece, ammette che il razzismo c’è da una parte, ma dall’altra dice, giustamente, che gli italiani ora hanno pure paura perché, a guardarsi attorno, insomma, è più facile vedere immigrati e non indigeni. Un po’ la gente si ferma a pensare, mica è sempre così scema da votare Berlusconi come credono sempre i tre sopra detti.

Il presidente della Camera ha ragione, la gente comune ha paura. Però sbaglia quando se le sente di proporre un Osservatorio per monitorare questo così detto rigurgito razzista. Perché la paura non crea razzismo, semplicemente porta all’autodifesa, un affare ben diverso. Un po’ come ai tempi in cui la legge conta poco o niente, come accade dalle nostre parti insomma: tu, che in Italia non dovresti nemmeno starci, vieni a privarmi di quello che mi è più caro? Vita, portafogli, macchina o altro? Beh, allora se la legge non mi difende, mi difendo per conto mio. Un ragionamento sacrosanto, peccato che sia distorto perché nasce proprio nel momento in cui lo Stato non tutela i suoi “veri” cittadini. E così, sempre a Milano, i soldati stanno in appostamento davanti al consolato egiziano, gli italiani si arrangino.

Forse sarebbe il caso di smetterla di far feste della libertà per iniziare a lavorare per tenere in piedi non l’Alitalia ma tutto il resto: qui si rischia che tra poco sparisca la libertà di tenerci stretta la nostra identità. Solo perché qualche spaccone a sinistra insinua un latente razzismo pronto ad esplodere e i nostri ci cascano come pere.

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Dategli retta

Il socio la sa lunga.

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