Le beghe del partito laburista inglese stanno dettando l’agenda politica europea. È un dato di fatto, perché di mezzo c’è David Miliband, segretario per gli Affari esteri del governo di Gordon Brown, che lo stesso primo ministro scozzese vorrebbe come ministro degli Esteri per l’Unione europea. La stessa carica che l’Italia vorrebbe attribuita a Massimo D’Alema.
In entrambi i casi, dietro alle scelte ci sono interessi interni: se D’Alema diventasse “Mr. Pesc” con tanto di appoggio del PdL, allora maggioranza e opposizione potrebbero cominciare a stabilire rapporti per affrontare assieme alcune riforme come quella della giustizia o costituzionale. A Londra, allo stesso modo, Brown si liberebbe di Miliband, da tempo considerato il delfino di Tony Blair, il quale, guarda caso, è in corsa per la presidenza dell’Unione: due piccioni con una fava lontani dal suo governo.
L’ex segretario all’Ambiente, figlio di del teorico marxista Ralph Miliband, sembrava destinato a subentrare al leader del New Labour dopo le sue dimissioni da primo ministro. Cosciente del rischio al quale andava incontro, dichiarò che avrebbe sostenuto Brown, l’altro deus ex machina del risorgimento laburista. Lasciandogli strada libera con un partito ormai in crisi e senza più stimoli. Ora, David potrebbe ritrovarsi con il padrino Tony in Europa, ma quanto gli converrebbe?
Il mandato di Brown volge al termine, i conservatori di David Cameron sono dati per vincenti alle prossime elezioni. Se così dovessero andare davvero le cose, ai laburisti occorrerebbe una figura carismatica per uscire dal tunnel. Insomma, avrebbero bisogno di Miliband.
Ecco perché a Londra si fa un gran discutere sull’opportunità di candidarlo per la poltrona di ministro degli Esteri europeo: una carica prestigiosa, non c’è che dire. Ma il rampante 44enne David rischierebbe di rimanere tagliato fuori dalle vicende di Westminster, perdendo il tram per proseguire il percorso inaugurato da Blair.