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Figlio di nessuno

Caro Luca Telese, io sono un figlio di nessuno. Nel senso che non ho un santo in paradiso: ho mio padre lassù, ma siccome era persona rispettabilissima anche quando aveva i piedi ben saldi sulla terra, non è quel tipo di santo che intendiamo noi.
Ho letto il suo articolo pubblicato su quel giornale che si chiama Il Fatto Quotidiano e sa a cosa ho pensato? Che lei è davvero una faccia da culo come si deve. Non solo le capita di sparlare del presidente di Confindustria su Radio24 e poi pretende pure di fare la vittima; non solo insulta fisicamente Oscar Giannino per aizzare la folla di Mirafiori; non solo si finge amico di Giampaolo Pansa che la spedisce a quel paese a stretto giro di posta; ma si è anche dimenticato che nel suo giornale lavora una certa Beatrice Borromeo (… continua su RightNation.it)

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E Travaglio se la ride

L’affare Granata continua ad ingrossarsi, perché pare essere destinato alla resa dei conti. Intanto, nel sottobosco, si muovono un po’ tutti a dire la loro. C’è chi sta con il deputato del Pdl che firma un blog sul Fatto. C’è chi lo vorrebbe fuori dalle scatole una volta per tutte, e con lui qualcun’altro. C’è chi rivendica il diritto di esprimere le proprie opinioni, lo prevede la sacra costituzione. C’è chi ribatte che però tutto ha un limite.

Nel frattempo, data la delicatezza dell’argomento mafia-stragi-politica, pare che nel suo studio ci sia un giornalista italiano che se la ride di gusto, mentre batte freneticamente i tasti del suo computer per il pezzo di giornata. Si sganascia dalle risate e si prepara a santificare: ve l’avevo detto, io! Guarda caso, è una delle colonne portanti del Fatto quotidiano e fa capolino sulla Rai nei programmi di Santoro. Ma questa volta non sfodera la caratteristiche risatina beffarda: no, questa volta Marco Travaglio se la gode proprio.

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Copia e incolla

L’affare Granata – Il Fatto si ingrossa. Mentre diversi quotidiani e siti si accorgono con qualche giorno di ritardo della presenza di un blog sul sito del giornale travagliato curato dal deputato del Pdl, Fabio Granata, nel blog in questione è stato (ri)pubblicato il famoso post precedentemente apparso sul sito di Generazione Italia: Se il problema siamo noi, espelleteci tutti.

Bene, bravo, bis. Evidentemente la strategia finiana è quella di portare in pubblico gli affari di casa: più i media ci danno retta, meglio è. Una strategia che sembra più portata ad esasperare lo scontro, piuttosto che a raggiungere un pace almeno forzata all’interno della maggioranza. Basta un copia-incolla, non c’è nemmeno bisogno delle telecamere questa volta.

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Il giustiziere

Perdonateci: saremo dei provinciali che non sanno stare al mondo e non sanno come gira la politica. Però sappiamo che il Fatto è quel quotidiano i cui redattori hanno un unico sogno, stappare bottiglie di champagne in redazione una volta appresa la notizia che Berlusconi è finito in galera. Alcune sue firme di punta lo hanno dipinto come un golpista, fascista, complottista; hanno scritto che avrebbe architettato con la mafia la sua discesa in campo; hanno dei dossier sul Cavaliere che quelli di Cosentino, in confronto, sono robe da dilettanti.

Sul Fatto quotidiano ha un blog Fabio Granata, deputato del Pdl (partito che si pare essere berlusconiano, ma noi siamo provinciali, forse non abbiamo capito) e fedelissimo di Gianfranco Fini, nonché vice presidente della commissione Antimafia alla Camera. E scrive, appunto, sul Fatto quotidiano. E’ un po’ come se un laziale si presentasse in campo con la maglia della Roma, magari l’idea rende. Va dato atto a Granata di essere però un uomo tutto d’un pezzo al punto che su Generazione Italia difende così il suo gruppo di amici finito sotto assedio nel Pdl: se siamo noi il problema, cacciateci tutti.

Ecco, caro Granata: noi saremo provinciali da quattro soldi e magari non intendiamo il sottile pensiero di scrivere per un giornale che un giorno sì e l’altro pure chiede la testa del suo capo di governo. Ma uno che scrive per il Fatto forse dovrebbe togliere il disturbo senza nemmeno scomodare nessuno. Per una questione di educazione, mica per altro.

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Come Veltroni

C’è qualcosa di vagamente veltroniano nel comportamento di alcuni direttori dei giornali che hanno aderito allo sciopero contro il ddl sulle intercettazioni. E che provano a giustificarsi con i “ma anche” e “anche se”. Al di là dell’irriducibile Ezio Mauro di Repubblica, c’è ad esempio un Mario Calabresi (La Stampa) che confessa di starsene in silenzio per un giorno, “ma a malincuore” mentre il cdr della testata auspicava nei giorni scorsi di “alzare tutti insieme la voce” piuttosto che non andare in edicola. Quelli del Fatto non sono da meno: “Aderiamo all’iniziativa della Fnsi, anche se avremmo preferito altre forme di protesta”, si legge in un comunicato.

Il meglio lo regala il Secolo d’Italia di Flavia Perina: “Oggi c’è uno sciopero contro una legge che non piace a nessun giornale e a nessun editore. Abbiamo deciso di ‘esserci’ in una modalità differente dal solito: non saremo in edicola ma distribuiremo il giornale come un ‘free press'”. Magari è anche la volta buona che qualcuno lo sfoglia.

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Lezione all’inglese

Il Fatto targato Travaglio ha scovato una fonte di spessore per parlare male di Silvio Berlusconi: The Economist, il settimanale britannico che non ha mai nascosto una certa antipatia per il Cavaliere. Il quotidiano manettaro ospita un’intervista a David Lane, definito “occhio ‘neutro’ sul nostro paese”. Bastano due battute per rendersene conto:

Bè, “Il Divo” non è l’unico caso…
No. Vogliamo “toccare” Silvio Berlusconi? Mi spiega in quale altro paese democratico un primo ministro può rifiutarsi di rispondere alla magistratura? Le rispondo io: nessuno.

Cosa sarebbe avvenuto in Inghilterra?
Escluso, politicamente finito. Gli sarebbero state imposte le dimissioni, a lui e a quelli come lui. Compreso Schifani.

Un esempio?

1963: John Dennis Profumo (di origini italiane, ndr) si dimette dall’incarico di segretario di Stato alla guerra, per le bugie su una sua relazione con una showgirl, sentimentalmente coinvolta anche con un funzionario dell’ambasciata sovietica.

A essere precisi, Lane si dimentica di aggiungere nell’affare Profumo comparivano spie, spionaggio e controspionaggio, talpe inglesi che informavano il Cremlino. Insomma: Profumo era un segretario alla Guerra ricattabile. Lo è anche Berlusconi? Al massimo potrebbe essere preso in giro per le sue abilità amatorie. Ma stando ad ascoltare le registrazioni della signora D’Addario, pare che il Cav. abbia fatto un gran figurone.

Ci sa tanto di invidia tutto questo…

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