La vittoria è stata grande, anzi grandissima. Al di là di ogni ragionevole previsione. Le corse clandestine lasciano il posto ai dati reali che regalano all’Italia una bellissima vittoria. A piene mani, a mani basse, come meglio si preferisce. I numeri dicono chiaro e tondo che oltre alla Camera c’è il Senato e, quindi, poche storie, i presupposti per durare e lavorare ci sono. Pertanto, niente autogol. Se è vero come è vero che l’Italia di oggi è in condizioni precarie, un passo alla volta e si andrà lontano.
Il Pd è un mezzo fallimento. Se così non fosse, a sinistra non passerebbero le ore post batosta ad insultarsi come se niente fosse. Racimolano una figuraccia dietro l’altra. Yes we can, ripeteva il caro Walter. Il caro Walter è rimasto sulla soglia del suo loft e il nuovo che avanzava è già irrimediabilmente vecchio perché la storia è sempre la stessa. Cercare di riciclarsi, vendendo fumo e giocando anche la carta Calearo per conquistare il nord. Il nord mica si fa prendere in giro. Piuttosto il Partito democratico è l’unica opposizione di questo nuovo governo di centrodestra. L’augurio è che si possa lavorare assieme quando occorre, senza scordare chi ha vinto le elezioni.
Il nord ha ruggito e tutti qui a parlare di timore-Lega. La Lega non è un timore, ma una certezza. La prima è che l’8 e passa per cento di consensi è frutto di una territorialità ripagata. Il partito di Umberto Bossi si fa sentire con i suoi toni sopra le righe qualche volta, ma soltanto perché ci tiene a ricordare a tutti che i problemi che vanno affrontati sono sopra le righe: criminalità, depressione economica – depressione perché la volontà c’è, ma viene immancabilmente decapitata dall’assoluto protagonismo statale e governativo – e prese in giro durate anni. Il successo leghista è l’insuccesso della sinistra perché la Lega, checché se ne dica, è un partito che sta tra il popolo e non si veste in cachemire.
Tutti a piangere l’assenza di una destra e di una sinistra nel Parlamento. E’ la democrazia, bellezza. Senza referendum e robe varie, il voto espresso dagli italiani ha segato le gambe a quegli agglomerati di voti che hanno stretto il laccio alla vita di un esecutivo da una parte e dell’altra. Chiedere a Prodi per avere conferma. Una volta tanto che le cose si semplificano – sperando che tale semplificazione continui il più a lungo possibile – ecco che saltano fuori i piagnistei per i vecchi tempi che dovevano essere superati. Si decidano lor signori. Di solito, meno siamo, meglio si sta.
Ha vinto chi ha saputo alzare la testa e a mostrare il coraggio di cambiare. Questo Popolo della libertà era nato da un predellino in piazza San Babila a Milano ed ora si ritrova a Palazzo Grazioli a Roma per preparare il futuro. Tutti a sfotterlo questo Silvio, dato ormai per tramontato. Fini ci ha messo un po’, ma da persona furba e saggia qual è ha capito. Casini ha preferito continuare da sé, rimanendo di un soffio a galla, sempre che davvero non si tratti di un mezzo affondamento. Ci vuole coraggio quando le cose vanno male. Berlusconi il coraggio lo aveva dimostrato nel 1994. Quattordici anni dopo, è ancora lì pronto a giocarsi un’altra finale. In attesa che scelga il futuro non solo dell’Italia, ma anche del centrodestra.
Sembra quasi impossibile che sia accaduto in Italia. Ma tutto questo ha avuto luogo qui, in questo dannato Paese che ha voluto rialzarsi.