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Trotzkisti, futuristi

Anche a destra hanno imparato a farsi del male da soli, mutuando dalla sinistra la migliore tradizione autolesionista. Ora infatti nell’area di Futuro e Libertà sono due le testate che si spartiscono l’eredità di Fare Futuro, l’organo più agguerrito nella battaglia tra Fini e Berlusconi che ha chiuso i battenti il primo marzo. C’è ilfuturista.it, sito diretto da Filippo Rossi, prima a capo di Fare Futuro. Ma esiste anche Fare Italia Mag, alle cui spalle c’è Adolfo Urso. Le due testate si beccano quotidianamente aspettando la resa dei conti fissata per il 17 maggio, all’indomani della tornata elettorale.

(continua su Linkiesta.it)

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Senza alternative

È sconfortante leggere le ultime vicende che riguardano Futuro e libertà. Non che ci si scrive abbia mai pensato – anche per un solo attimo di mancamento – che il partito di Gianfranco Fini potesse rappresentare qualcosa di utile per l’Italia. Ma la sceneggiata di Latina e la storia di Olbia, dove i futuristi si presenteranno alle Amministrative al fianco del Partito democratico, getta nello sconforto. Perché? Perché FLI non offre un’alternativa e per quanto quella alternativa possa non essere prendere in considerazione, quantomeno offrirebbe un po’ di sana competizione nello schieramento che in teoria sta a destra del panorama politico. E la competizione fa del bene, in particolare a chi ormai è adagiato su se stesso e invece di raccogliere i consensi delle generazioni che sono cresciute guardando alle esperienze conservatrici in Gran Bretagna e Stati Uniti, alla Right Nation, li allontana con scelte e dichiarazioni che si adattano maggiormente ad un partito socialdemocratico, non certo al Popolo della libertà che dovrebbe essere di ispirazione opposta, almeno sulla carta.

(continua su Right Nation)

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Scaricato

Farà finta di nulla, i suoi spin doctor di Farefuturo o quelli della nuova Generazione italiana taglieranno corto o prenderanno del tutto la scorciatoia. Intanto Gianfranco Fini ieri è stato scaricato e non da uno qualsiasi, ma dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Che saggiamente ha ricordato al governo che sarebbe il caso di rimettersi al lavoro in modo serio e continuo e che, nello stesso tempo, ha sponsorizzato un probabile candidato a premier nel prossimo futuro:

Un nuovo primo ministro deve avere la maggioranza in Parlamento e deve essere indicato dagli elettori, cosa sulla quale sono d’accordo: se ci saranno le condizioni perchè Tremonti abbia queste caratteristiche, perché no?

Si può discutere la scelta o meno per l’attuale ministro dell’Economia: ma sul silenzio generale attorno al presidente della Camera non vale nemmeno le pena di soffermarsi troppo.

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Costituzionale, ma non democratico

Il guaio è che quando il presidente della Camera afferma, da leader di partito e non da terza carica dello Stato, che il governo non c’è più e non bisogna andare al voto, ma passare ad altro esecutivo, costituzionalmente ha ragione. Nel senso che la carta italiana prevede tutto un iter di consultazioni e giri di parole per permettere, a chi non è stato eletto presidente del Consiglio, di sedersi sulla poltrona in questione. E’ stata la prassi di tutta la Prima Repubblica, poi le vicende sono leggermente cambiate, ma è chiaro che l’ambiente politico quello rimane e tende a tornare indietro.

Poi verrebbe da dire che la strategia di Fini sarà pure “nel solco della costituzione”, di certo però non è democratica (nel senso che dovrebbe governare chi ha vinto le elezioni e che se le condizioni venissero meno, allora bisognerebbe procedere a nuove consultazioni elettorali). Ma è un altro discorso che si sarebbe potuto evitare, se si fosse messo mano alle riforme istituzionali.

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Azienda Italia

Luca Cordero di Montezemolo ha detto che è finito il tempo del “one man show”. E ha aggiunto: “Sento il dovere di fare qualcosa per il mio Paese”. A questo punto Silvio Berlusconi dovrebbe chiedergli i diritti d’autore per l’ultima frase, ma paradossalmente è evidente come Montezemolo ce l’abbia proprio con il Cavaliere, sulla falsa riga del presidente della Camera che qualche giorno fa ha consigliato di diffidare di chi dice “ghe pensi mì”.

Due indizi non fanno una prova e a pensar male si fa peccato, ma Gianfranco Fini ha trovato finalmente il nuovo padrino per essere svezzato: Berlusconi nel 1994, Luca Cordero di Montezemolo nel 2010. D’altra parte, è o non è uomo d’immagine il presidente della Ferrari? Si è fatto pure una propria linea ferroviaria, quindi è l’emblema del libero mercato, del principio di concorrenza, della meritocrazia: la sua firma al manifesto d’ottobre che nessuno si è filato, dovrebbe stare sopra a quelle di tutti gli altri. Gianfranco escluso ovviamente.

E poi, finalmente, un uomo che rappresenti le istituzioni e i poteri che contano in Italia. L’aziendalismo di stato ormai è ufficiale.

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Lavorare con lentezza

La dimostrazione che Paese e politica marciano su due binari diversi è arrivata ieri, dalla calendarizzazione della crisi di governo. Dovremo attendere metà dicembre per capire quale sarà il destino del governo e della maggioranza che lo sostiene, una volta approvata la Finanziaria.

Un mese di congelamento o, se volete, un mese di ripicche prima di arrivare alla conta alla Camera e al Senato. Questa non è politica, con buona pace di chi afferma che ormai il Cavaliere è vecchio e pazzo e che per lo meno Fini tenta di farla, la politica: commenti questi che sono arrivati dall’interno del Pdl e che rendono chiara l’idea di come gli eletti stiano cercando nuovi lidi.

La classe dirigente sta lavorando con estrema lentezza, suda soltanto quando è alle prese con le luci degli studi televisivi per qualche dibattito, l’estenuante strategia delle trattative tiene banco. Tutto, pur di evitare accuratamente un confronto faccia a faccia e di levarci dalle scatole anche questa noiosa manfrina.

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1993

Modo migliore per tornare indietro non c’era. Il movimento del presidente della Camera Gianfranco Fini presenta una mozione di sfiducia al governo assieme all’Udc di Pierferdinando Casini e l’Api di Francesco Rutelli. Ricordate? 1993? Fini che corre per la carica di sindaco di Roma per l’Msi e arriva a giocarsi il tutto per tutto al ballottaggio? Ricordate anche chi aveva fatto l’endorsement storico a suo favore?

Sì, esatto: Silvio Berlusconi.

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Ma è tonto?

Dalla Corea del Sud Silvio Berlusconi dice a Fini di sfidarlo pubblicamente in Parlamento e di sfiduciarlo. E per tutta risposta il presidente della Camera che dice? “La fa troppo semplice”. Ora i casi sono due: o Fini è tonto o lo è due volte. E’ quanto mai surreale che uno strenuo difensore della democrazia e della coscienza politica, che ha fatto paternali sul suo ruolo super partes sancito da padri fondatori della repubblica italiana, si metta a fare nemmeno si sa quale gioco.

Anche perché, a stretto giro da battuta, arriva il fedelissimo Italo Bocchino che pronostica: il Cavaliere si dimetta e poi si vedrà. Chi è il più irresponsabile tra i due (Fini e Bocchino) è difficile intuirlo, probabilmente il primo per la sedia che occupa e che non vuole mollare dal momento che gli dà credito istituzionale. A sforzarsi nel chiamarlo credito.

Il prode Gianfranco appartiene di diritto al gruppo “Armiamoci e partite”, ben attento a non macchiarsi di sangue così un giorno, in futuro, potrà nuovamente ribaltare il suo passato facendo finta di niente. Uno sport molto praticato dai codardi.

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Statalisti

Si dice che il 67% degli italiani sia a favore dell’eutanasia o almeno in questo modo si cerca di giustificare lo spot australiano dove un malato terminale chiede che gli venga staccata la spina. Sarà, ma quel 67% non deve tener conto della classe politica italiana. Che siamo agli sgoccioli del governo e della maggioranza così come uscita dalle urne lo capisce anche un bambino di tre anni: è il resto che è incomprensibile.

I dissidenti finiani mandano messaggi indiretti: oggi, per esempio, invitano il ministro Bondi a dimettersi per il crollo di Pompei, quando potrebbero benissimo presentare in Parlamento (loro che nel Parlamento vedono la casa della democrazia italiana) un documento di sfiducia. Non lo fanno, piuttosto minacciano di votare sì a quello formulato dal Partito democratico. Forse Pierluigi Bersani ne ha azzeccata una, quando si è messo a parlare di triste gioco del cerino.

Di fronte all’ingovernabilità di quello che rimane di questa legislatura, non rimarrebbe che tornare a votare perché gli italiani (ai quali appartiene la sovranità così come espresso nella costituzione, custode della democrazia a detta di tutti) decidano sul da farsi. Invece, si gioca al politichese, si è tornati indietro di trent’anni e passa. E’ questa la vera inclinazione dell’ennesimo gruppo di statalisti all’opera.

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Ritardatari

Alla fine si sono accorti che quello in Veneto, tra Vicenza e Verona, non era solo un rivolo d’acqua sceso lungo le strade o sui campi. Quasi per magia, sono pure comparse le foto dall’alto per rendere meglio l’idea che qualcosa fosse successo e sono cominciati i tam tam mediatici per raccogliere fondi  a sostegno delle popolazioni colpite che da una settimana sono al lavoro per levare il fango dalle case. Immigrati compresi: così magari la prossima volta qualcuno ci penserà due volte, prime di dire che il Veneto è xenofobo e razzista.

Aveva ragione Dario Di Vico ieri sul Corriere della Sera: nel week end non sono arrivati messaggi di sostegno né da Perugia con Fini, né da Roma con Bersani, né da Firenze con Renzi, eppure tutti e tre erano alle prese con convention di partito. Il Nord Est rimane nell’immaginario della classe politica la terra che produce da spremere all’osso e dove si annidano i grandi evasori fiscali. E poi quelli che non i pregiudizi sarebbero i veneti: ma d’altronde è normale, sono due categorie di persone che viaggiano su binari diversi. I primi tre hanno sempre vissuto di parole, quelli che producono hanno investito soldi a loro rischio e pericolo.

Oggi arriveranno nei luoghi interessati il presidente del Consiglio Berlusconi e il leader leghista Bossi. Il presidente della Confindustria vicentina ha minacciato di non pagare le prossime tasse. Che i tre si incontrino, si parlino e capiscano che l’opportunità fornita da questa emergenza è irripetibile, al di là dei giochetti sottobanco dell’élite politica.

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