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Le relazioni pericolose

Quasi un mese fa, alla House of Commons è andata in scena la più larga rivolta all’interno di una maggioranza di governo sul tema Europa: il 25 ottobre il Primo ministro conservatore David Cameron ha dovuto fare i conti con 81 ribelli che avevano avanzato una mozione contraria alla linea del partito, perché come da accordi elettorali si tenesse un referendum popolare sul ruolo della Gran Bretagna all’interno dell’Unione. Una proposta bocciata dal resto dei Comuni, ma che ha portato a galla tutto il malcontento che serpeggia tra i Tory – in particolare tra i Mainstream Conservatives legati a David Davis – sulla decisione del loro leader di fare retromarcia: prima di arrivare a Downing Street, Cameron aveva più volte confermato l’ipotesi di sottoporre il quesito all’opinione pubblica, salvo poi cambiare opinione.

Regno Unito ed Europa: un romanzo che dura da anni e che periodicamente si aggiorna. Settimana scorsa a Berlino, Cameron e Angela Merkel davanti ai giornalisti hanno fatto buon viso a cattivo gioco, suggerendo quanto sarebbe necessario che l’Ue facesse di fronte alla crisi economica che la sta investendo, adottando tutte le misure che occorrono. Ma Londra non ha alcuna voglia di impiegare i propri soldi nel piano e non è un caso che Berlino da qualche settimana stia punzecchiando la Gran Bretagna per tirarla del tutto nell’agone.

(continua su Notapolitica)

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5 Novembre 1605, nasce la faccia di Anonymus e Indignados

Remember, remember, the fifth of November, Gundpower Treason and Plot”, recita la filastrocca. Ricorda il 5 di novembre, il giorno della congiura delle polveri: era il 1605 e quella notte il Parlamento londinese sarebbe dovuto saltare in aria per mano di un gruppo di cattolici tra i quali figurava Guy Fawkes, oggi volto noto per via di quella maschera resa famosa dal film “V for Vendetta”, emblema della battaglie di hacker e indignati. L’obiettivo dell’attentato di quel 5 novembre era Giacomo I, sovrano protestante. I papisti d’altronde non piacevano nemmeno ad un filosofo come John Locke: sudditi di un re straniero e quindi una minaccia per la stabilità dell’Inghilterra e del suo impero.

La storia della Gran Bretagna è un continuo susseguirsi di complotti, traditori e spie che spesso si muovevano tra i corridoi di corte. Come Roger Mortimer, nobiluomo che non solo divenne amante della moglie di Edoardo II, Isabella di Francia, ma l’aiutò a deporre il marito dal trono dopo aver fatto da garante al contratto matrimoniale tra i due. La sua gloria durò tre anni, prima di essere fatto prigioniero dal figlio più grande di re Edoardo: i suoi giorni finirono il 29 novembre 1330 e il suo corpo fu lasciato appeso alla forca per due giorni e due notti, come monito ai sudditi. Oppure come James Scott, duca di Monmouth e figlio illegittimo di Carlo II che nel 1685 si pose a capo di una sollevazione nei confronti di Giacomo II. Sconfitto in battaglia, riuscì a scappare prima di essere catturato e condannato per tradimento. I suoi sostenitori, all’incirca un migliaio, furono anch’essi condannati a morte o esiliati nelle Indie Occidentali. Una fine drammatica venne riservata anche a William Wallace che se nell’immaginario comune è il patriota scozzese per eccellenza, per gli inglesi era un pericoloso nemico: catturato il 5 agosto 1305 a Glasgow, il 23 agosto fu prima trascinato da un cavallo per la strade di Londra e in seguito il suo corpo venne diviso in quattro parti, con la testa appesa al London Bridge.

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/guy-fawkes-v-for-vendetta#ixzz1d6nNueBn

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Hugh and Boris

Mitigata dai piacevoli effetti dell’Indian Summer che ha interessato l’isola, la politica inglese si prepara a concludere la stagione delle conferenze dei suoi tre maggiori partiti, prima di tornare a fare sul serio in Parlamento. Gli ultimi in ordine di tempo a ritrovarsi a corte sono i conservatori del Primo ministro David Cameron che nel suo discorso ha chiesto ai cittadini britannici di saldare i propri debiti per permettere all’economia di uscire da una recessione anormale.

Capi alle prese con una leadership da rafforzare se non riaffermare, come hanno dovuto fare Nick Clegg tra i liberaldemocratici o Ed Miliband con i laburisti. Salvo incappare in due imprevisti capaci di conquistare spazio e attenzione: un attore con una missione politica e un politico che veste ottimamente i panni dell’attore. Perché se apparentemente Hugh Grant e Boris Johnson hanno ben poco in comune, a conti fatti hanno lasciato un segno allo stesso modo.

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/hugh-grant-e-boris-johnson-la-politica-inglese-non-la-fanno-piu-i-leader#ixzz1Zz7xiLx4

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Un liberal

C’è un aggettivo di troppo nella definizione che David Cameron ha dato di sé qualche settimana fa durante il dibattito del mercoledì alla House of Commons: Liberal Conservative.

Il guaio grosso è che quello che stona è il secondo, come il Primo ministro inglese ha confermato con il discorso di oggi alla conferenza di Manchester, nel corso del quale ha riproposto i suoi cavalli di battaglia, Big Society inclusa. Un concetto che tale rimane e Cameron è troppo impegnato a rimarcare di volere una “stronger and bigger society” da dimenticarsi di aggiungere che per far ripartire l’economia occorrerebbe anche meno stato.

Di solito i conversatori ci tengono a sottolinearlo, i liberal no. (continua su Right Nation)

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La secessione scozzese conviene a Londra

Alex Salmond, leader dello Scottish National Party, è uno dei vincitori della scorsa tornata elettorale del 5 maggio. Con i suoi 69 seggi conquistati, può portare avanti con fierezza la sua battaglia per ottenere l’indipendenza della Scozia. Di fronte alla possibilità di un referendum per la secessione, il premier David Cameron si è detto disposto a tutto per mantenere l’unità del Paese. Eppure, fatti alcuni conti, non gli converrebbe: Edinburgo costa caro, alla Gran Bretagna. Più o meno 11 miliardi di sterline all’anno. Se la Scozia dice addio, per Londra potrebbe essere perfino un sollievo.

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Il Regno dopo la festa

Smaltita la sbornia, è ora di cercare di capire cosa significhi per la Gran Bretagna il tanto celebrato Royal Wedding. Perché non è stato solo il pretesto per scatenare il gossip, la cronaca rosa e per spedire giornalisti a Londra in caccia di notizia, prontamente apprese dai quotidiani locali o internazionali. Non è stata solo l’occasione per alcuni cosiddetti esperti di dare i voti agli abiti, ai cappelli, ai fiori, agli abbinamenti dei colori e di porsi domande esistenziali (una su tutte quella di Francesca Senette su La7 che, turbata dall’eventualità del cattivo tempo, si è chiesta se Kate Middleton indossasse biancheria intima bianca sotto il vestito da sposa). Il Royal Wedding avrebbe potuto fornire una panoramica sullo stato di salute di quello che fu un impero, poi uno stato che si è trovato da solo a contrastare l’espansione nazista, poi un regno dove hanno trovato spazio alcune rivoluzioni culturali e popolari del Novecento.

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I guai sanitari di Cameron

C’è un doppio fronte dalle parti di Downing Street al quale prestare attenzione. Perché se il governo britannico è alle prese con la matassa Musa Kusa, il ministro degli Esteri libico che nei giorni scorsi è fuggito da Tripoli a Londra, che per alcuni è una risorsa nella guerra con Gheddafi mentre per altri non rappresenta il massimo delle garanzie, c’è una campagna interna da portare a casa e presto. Durante l’ultima campagna elettorale, David Cameron fece infatti della riforma della sanità uno dei punti cruciali del programma conservatore, ma ad un anno di distanza le cose si sono complicate e i nodi sono venuti al pettine nella settimana decisiva per la sua discussione.

(continua su Linkiesta.it)

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Politica al lavoro in UK

Le cronache che ci giungono dalla Gran Bretagna dimostrano che la politica è più che mai viva, per lo meno in quella parte d’Europa. Perché se in Italia siamo alle prese con un crisi che di politica ha ben poco – è solo una resa dei conti tra due leader che hanno tentato di vivere forzatamente sotto lo stesso tetto -, a Londra qualcosa si sta muovendo.

Con gli scontri tra polizia e studenti che hanno coinvolto anche l’automobile a bordo della quale c’era il principe Carlo, i liberaldemocratici sono dovuti venire a patti con la realtà. Durante la scorsa campagna elettorale, fu infatti Nick Clegg a dichiarare che il suo partito non avrebbe assolutamente ritoccato le rette universitarie: ieri, invece, ha definito “sognatori” i manifestati che hanno invaso strade e piazze attorno alla House of Parliament per mostrare tutta loro rabbia sulle “tuition fees”, la big issue fresca di approvazione alla maggioranza di governo. Non bisogna infatti dimenticare che Clegg deve il (magro) successo alle General Election ai favori raccolti dal suo partito nelle fasce d’età più giovani dell’elettorato, specie tra gli universitari.

C’è poi dell’altro che apparentemente fa da sfondo, ma che in realtà è la cornice del quadro attuale. Risuonano ancora negli ambienti conservatori le parole dell’ex Primo ministro John Major che qualche settimana fa si augurò di vedere all’opera per lungo tempo la coalizione Tories – Libdem. Sono però in tanti a pensarla in modo diverso, tanto che sul blog di riferimento dei conservatori britannici (http://conservativehome.blogs.com/thetorydiary/2010/12/what-is-mainstream-conservatism.html) sono al lavoro per mettere nero su bianco un manifesto politico, quello del Mainstream Conservatism, dove far trovare alloggio alla social justice di Iain Duncan Smith, al civil libertarianism di David Davis, all’internationalism di Andrew Mitchell. Il punto centrale è quello della crescita economica perché se questa sarà garantita, allora i conservatori potranno vincere nuovamente le elezioni. Una spicciola esemplificazione del concetto per cui quando i cittadini si recano alle urne, guardano alla salute delle loro tasche.

A concludere il tutto, il colpo di spada nei riguardi degli alleati che i Tories più puri proprio non sopportano. Il Mainstream Conservatism è il Popular Conservatism, vale a dire l’opposizione ad un superstato europeo, una tassazione più bassa e il conseguente trattamento corretto nei riguardi dei contribuenti, un contrasto duro al crimine. Temi sui quali cerca di far presa la destra britannica dello United Kingdom Independent Party e del British National Party. Sono cause queste “sostenute dalla maggioranza del popolo, ma non dalla maggioranza di sinistra del Liberal Democrat party”.

La politica, Oltremanica, è ancora sveglia. Tanto che i conservatori al governo non temono di ricordare al premier David Cameron che un progetto di Big Society esiste già (il civil libertanism sopra citato di Davis) o di rammentargli che la coalizione ha al suo interno due anime troppo diverse su alcuni punti chiave dell’agenda. Tutto questo senza cadere nel teatrino del gioco delle parti e delle ripicche personali, perché dopo tutto c’è un Paese da rimettere in sesto.

Da Right Nation

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Old Labour

Nella sfida in famiglia per il ruolo di leader del Partito laburista inglese, Ed Miliband ha avuto la meglio sul fratello David. L’ha scampata per pochi pesanti voti. Ed è nato il 24 dicembre 1969, David il 15 luglio 1965. Ed deve mostrare ancora molto, David ha avuto modo di rendersi noto politicamente nelle vesti di segretario degli Affari estera. Ma a fare le differenza tra i due è la tonalità di rosso: con la vittoria di Ed, i laburisti lasciano in disparte il progetto di Tony Blair e cercano di recuperare terreno negli ambienti operai più duri e puri: se la strategia funzionerà, lo scopriremo presto.

Da parte sua, David ha pagato lo scotto di essere arrivato dopo Gordon Brown, al termine di una epopea ormai in declino e cominciata con l’ingresso di Blair a Downing Street nel 1997. Quando questo lasciò l’incarico per Brown, nel 2007, molti commentarono la scelta di David di restarsene fuori dai giochi di potere come la miglior tattica per non bruciarsi troppo presto. Alla congresso di Manchester dove si erano dati appuntamento i delegati laburisti per scegliere il futuro, ci è arrivato troppo tardi.

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Questioni di identità

Balza all’occhio una cosa in queste prime ore del viaggio di Benedetto XVI in Gran Bretagna. La prima tappa è stata la Scozia e, ascoltando le interviste ai fedeli cattolici che si sono dati appuntamento a Edimburgo e Glasgow, è tornato a farsi vivo un certo orgoglio identitario, che nel dibattito politico si è appannato a causa delle trame tra laburisti e Scottish National Party e dei favori economici concessi dal governo londinese.

Oggi si è visto qualcosa di diverso. E’ dovuto arrivare un capo di Stato estero perché accadesse.

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