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Ci eravamo tanto odiati

Dunque pare che ci sia una destra in Italia cresciuta con i libri comprati alla Standa, ergo ignorante. Mentre l’altra destra, quella che guarderebbe al futuro, avrebbe una vera identità – e nessun libro preso ai grandi magazzini nella propria biblioteca, ma solo pezzi da collezione. Una destra con la spina dorsale. Una spina dorsale talmente robusta che ora gli ex commilitoni si azzannano manco fossero due rottweiler particolarmente incavolati.

A questo punto, sorge un dubbio: se si odiano così tanto, non dev’essere un caso. Insomma: la fine fallimentare di Alleanza nazionale, ormai sotto gli occhi di tutti, a chi va imputata? Ai colonnelli o al generale che tanto si vanta di non essere un aziendalista prestato alla politica?

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La logica delle tribù

Se l’Italia è il paese delle divergenze parallele, non c’è nulla di cui stupirsi se dal 1994 solo un partito non è morto per rinascere sotto altre spoglie (la Lega Nord) e se ogni due per tre saltano fuori le correnti. Tutti le odiano, ma nessuno può farne a meno al punto che scatta la corsa a quale movimento è destinato a durare di meno. Il premio deve consistere nella spartizione delle poltrone che contano altrimenti non ha senso fondare un partito per affossarlo dopo un anno – un anno e mezzo – due. Fino a pochi mesi fa, un discorso del genere valeva per il Partito democratico: oggi calza a pennello al Pdl che non ha perso un’elezione, ma semplicemente è alle prese con dei regolamenti di conti interni.

Così, per passatempo. E’ infatti accaduto che sono venute allo scoperto le tribù che popolano la nostra politica. Massimalisti, riformisti, dorotei, andreottiani, gramsciani, rautiani: la storia parlamentare è costellata di galassie da quando venne fatta l’Italia, non gli italiani. Oggi come ieri: finiani e berluscones si tirano fango addosso come se fossero alle Olimpiadi. Tra le due fazioni c’è un odio – sì, chiamiamolo così – tale che sorge spontanea la domanda: ma che si sono uniti a fare?

Preoccupa la tendenza tra i giovani. L’anno scorso per lavoro ho intervistato alcuni di loro alla vigilia del congresso che ha sancito la nascita del Popolo della libertà, con un occhio di riguardo verso quelli di Alleanza nazionale che si è sempre fatta vanto delle sue organizzazioni come Azione universitaria e Azione giovani. Era tutto un contagio in quelle dichiarazioni: nel senso che promettevano a vicenda di contagiarsi con la voglia di fare, con l’entusiasmo e altre robe di tal fattura nella nuova e fallimentare esperienza di Giovane Italia. Pochi mesi dopo ho ricontattato una delle persone intervistate che non ce la faceva più: con i giovani di Forza Italia erano già ai coltelli tra i denti.

Lo scontro Cavaliere – Fini è una scena già vista. Solo che finché scazzano tra loro i discepoli nessuno ci fa caso. Peccato, soprattutto perché nemmeno i nuovi Capezzone cercano di venirsi incontro, impegnati come sono a voler fare i grandi.

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Congressi a tutto spiano

Uno per fondare, l’altro boh, il terzo per chiudere baracca.

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La ridotta

Il parallelo potrà sembrare azzardato, ma ha semplicemente un valore storico diciamo così, non certo ideologico. Quando ormai le cose volgevano al termine, a Mussolini venne presentato un piano impossibile che prevedeva una ridotta in Valtellina: lui e i suoi fedeli gerarchi, armi in pugno, a difendere l’ultimo baluardo della Rsi in attesa che arrivassero gli Alleati con i quali trattare la resa. Domenica cade il 25 aprile, tra l’altro.

Oggi Gianfranco Fini si trova nella stessa situazione: alcuni fidi gli si sono stretti attorno, lo hanno difeso dal fuoco nemico e hanno ribattuto alle offensive, alzando la voce nei salotti televisivi nei confronti di chi osava criticare il capo. Una ridotta con pochi numeri, come ha chiarito la direzione del Pdl di ieri. Il presidente della Camera ormai è un generale senza colonnelli che, sull’esempio di quanto accaduto l’8 settembre 1943, hanno indossato i panni dei badogliani: spariti, hanno abbandonato in fretta e furia gli uffici e bruciato le carte compromettenti. Nulla di strano, è nel dna degli ex di An un atteggiamento del genere e lo avevamo fatto notare lo scorso autunno.

Uno può condividere in toto, in parte o per niente quanto ha detto Fini alla presenza di Silvio Berlusconi. Il fatto grosso è quel gesto di La Russa quando si è trovato nel bel mezzo dello scontro tra i due pezzi da novanta del Popolo della libertà: ha allargato le braccia quando è giunta l’accusa che il partito fosse, al Nord, una fotocopia della Lega. Come a voler dire che lui, La Russa, non sapeva che diavolo rispondere. In quel momento è risultato lampante che l’ex re era nudo e che il 25 luglio della destra italiana si era celebrato di fronte alle telecamere.

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La destra che non si vede ma esiste

Quelli del Corriere, tronfi delle firme che vergano le loro pagine della cultura, ogni tanto si rendono conto di essere noiosi e così provano a scuotere le coscienze con articoli come quella “Eclissi della destra che vince ma non ha più identità”. Sempre ammesso che la destra italiana abbia mai avuto un’identità precisa, verrebbe da rispondere. Altrimenti, il successo di Berlusconi di riunire missini, liberali, socialisti, democristiani, conservatori, riformisti e altre compagnie varie da dove arriverebbe?

Tant’è che già riecheggiano termini come “pantheon”, “autori di riferimento”, “libri da leggere”, “massime che è obbligatorio sapere”. E mentre da via Solferino ci fanno intuire che a Berlusconi di tutto questo poco importa (come se mai, a destra, si fossero posti il problema che gliene fregasse o meno qualcosa al Cavaliere), ci teniamo a fare presente che la nuova destra italiana forse è più avanti dei suoi intellettuali o affini.

(Continua su Notapolitica.it)

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Leoni come agnelli

Quelli di Alleanza nazionale sono fantastici. Ora che nei confronti del loro ex leader Gianfranco Fini si sta per scatenare un inferno, fanno quadrato, si dispongono in battaglia come si usava nell’Ottocento nei momenti di difficoltà: il capo in mezzo a dare ordini e tutti gli altri disposti attorno e con i fucili ad altezza uomo a sparare contro chiunque passasse sotto il loro tiro. Prima, però, gli ex colonnelli mica si comportavano in questo modo.

Troppo tardi, insomma. La classe dirigente di An deve ancora avere sulla coscienza la – triste – fine che ha fatto quel partito, ridotto a finire nell’ombra di Forza Italia – e questo era comprensibile -, ma anche attanagliato dalla Lega Nord che stava costruendo l’enorme consenso del quale può disporre Bossi e che, in alcune zone del Settentrione, arriva da ciò che fu un bacino della destra italiana. Alcuni appartenenti alla categoria dei colonnelli si fece pure sorprendere da un giornalista del Tempo ad un bar della capitale intenti a sparlare del loro generale.

Ora, come detto, si mettono a fare quadrato quando ormai non hanno nemmeno più un partito da difendere. Dispiace molto, eppure fingono di ruggire come dei leoni, perché in realtà sembrano agnelli dispersi in mezzo ad un branco di lupi. Chiedono che nel PdL non si verifichi un cortocircuito, ma se non fosse stato per Fini e per le sue lamentele, non avrebbero mai osato alzare la voce. Piuttosto dicevano che era tutto a posto, tutto in regola, smarcandosi dai primi mal di stomaco del presidente della Camera. Ora hanno deciso di farsi venire i dolori alla pancia pure loro.

Troppo tardi, anche stavolta, per dare l’impressione di voler contare seriamente qualcosa in quel gran casinò che è il centrodestra di casa nostra.

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I ragazzi di An: contageremo Forza Italia

I giovani di Alleanza nazionale non si fermano più: hanno combattuto le battaglie culturali e politiche ai tempi del Movimento sociale, piangendo per strada qualche compagno di avventura rimasto vittima del terrorismo politico; sono transitati dalle parti di Fiuggi nel 1995 per entrare con entusiasmo nel progetto di Alleanza nazionale firmato da Gianfranco Fin; una settimana fa si sono dati nuovamente appuntamento a Roma per salutare questa esperienza e consegnarla al futuro che avanza, il Popolo della libertà. Da questo fine settimana si ritroveranno a fianco dei giovani di Forza Italia, ma non come due realtà autonome, piuttosto come un unico corpo.
Loro, i ragazzi di Azione giovani, come stanno vivendo queste ore? Libero-news.it lo ha chiesto direttamente ad alcuni ragazzi militanti.

Fiorenzuola D’Arda sta in mezzo alla pianura padana, con le colline piacentine che sorgono alle sue spalle. E’ terra di rossi emiliani, dove essere di destra risulta un po’ difficile. Eppure Fabio Gnocchi, 25 anni, nel 2006 è finito per essere consigliere comunale grazie ad Alleanza nazionale che l’ha candidato. «Mi sono avvicinato alla politica grazie alle battaglie di Azione giovani», racconta. «Perché hanno ricordato cose che gli altri non facevano: le foibe, i soldati di Nassirya e i giovani di destra rimasti uccisi». Fabio, come gli altri, non ha paura perché se è anche vero «che in passato abbiamo avuto vedute diverse su certi temi, io non voglio guardare al passato, ma al futuro».
Da una provincia all’altra, non si cambia. Su nel Friuli, in quel di Pordenone, c’è Alberto Locatelli a guidare Azione giovani. Nemmeno lui vede con «particolare apprensione» il nuovo passaggio al quale è chiamato. Ed è una costante nelle risposte dei giovani militanti di destra. Entrare nel Pdl, d’altra parte, garantisce una maggiore visibilità, per quanto, sottolinea Alberto, «sia più facile vedere lo scontento che quelli contenti», riferendosi a qualche tuffo nel passato di chi non ha apprezzato l’ultima svolta del partito di Gianfranco Fini. Un Fini che ormai parla da uomo delle istituzioni, come qualche giorno fa, quando ha dichiarato che Mussolini, con gli occhi di oggi – quelli di presidente della Camera – non è più da considerarsi un grande statista.

I giovani del movimento non hanno paura: sapranno andare d’accordo con i colleghi e, promettono, sapranno prendere ciò che c’è di buono da loro e viceversa. Allora nessun rischio di imborghesimento? Assolutamente no, sono pure disposti a indossare qualche volta in più la giacca e la cravatta per andare ai convegni, «noi insegneremo ai ragazzi di Forza Italia a fare volantinaggio». «Tanto noi ci sentiremo comunque dei militanti, pronti a ritrovarsi per mettere su un gazebo o stare in mezzo alla gente, per le strade e nelle piazze», aggiunge Gianmario Mariniello, di Aversa, che considera il passaggio di questi giorni come «il compimento del progetto tatarelliano di un contenitore unico» contro la sinistra.

Il processo di fusione sarà comunque ancora un po’ lungo, occorrerà un anno prima che le cose vengano sistemate a livello organizzativo. Nel frattempo continuerà il processo di avvicinamento anche perché già tante cose sono state fatte insieme con gli azzurrini.

Eppure qualche dubbio rimane: Azione giovani ha alle spalle le battaglie per l’autodeterminazione dei popoli, le feste di Atreju, gli scherzi goliardici ai politici che salivano sul palco a Roma. I colleghi di Forza Italia come si sentiranno? «Non appena ci conosceranno, si innamoreranno delle nostre iniziative», risponde Augusta Montaruli, di Torino. D’altra parte, prosegue, «le nostre non sono battaglie che appartengono solo ad una classe politica, ma che sono patrimonio di un popolo».

Lavinia Prono, scesa da Milano a Roma per seguire i lavori congressuali, ha seguito con attenzione il discorso di oggi di Gianfranco Fini. Un discorso che ha levato di mezzo «qualsiasi dubbio e ha confermato che lui è il secondo leader del Pdl». Sul futuro del movimento giovanile, anche lei, non ha timori o paure perché «i movimenti giovanili da tempo lavorano assieme». Come a voler dire che, in fondo, il Popolo della libertà è nato, prima che tra i capi, tra i giovani.
Militanza, impegno e collaborazione: i giovani di An continuano a correre spediti, guardando avanti.

Dario Mazzocchi

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La nave va

«Se si ha paura, vuol dire che o non valgono nulla le idee in cui si crede o non vale nulla chi ha paura»: il lungo discorso con il quale Gianfranco Fini ha salutato Alleanza nazionale si riassume nella battuta finale che il presidente della Camera usa per fare un salto indietro nel tempo, alla “giovinezza” sua e dei suoi colleghi.

Due giorni di dibattiti, con un unico distinguo pronunciato a voce e non in silenzio – quello di Roberto Menia -, tanti abbracci e la promessa di non cambiare mai. Infine la lacrima che Fini non ha fatto mancare e che aveva annunciato nei giorni scorsi. D’altra parte, se non fosse scesa ci sarebbe stato di che preoccuparsi.

Un lungo intervento quello di Fini che ha spesso fatto riferimento al vero grande cambiamento di Alleanza nazionale datato 1995 con il congresso di Fiuggi. Un passaggio in avanti premiato oggi non solo dalla formazione del nuovo partito di centrodestra, ma anche dai ruoli ricoperti dai volti storici dell’ex Msi: Fini terza carica dello Stato, La Russa ministro della Difesa, Alemanno primo cittadino di Roma e tutti gli altri a ruota. Non poco davvero.

Berlusconi non è mancato, nel senso che a lui hanno fatto riferimento Altero Matteoli e Alemanno negli interventi precedenti a quello di Fini, il quale non si è fatto scappare da parte sua il nome del Cavaliere. Celebrato come l’uomo che ha saputo dare un nuovo slancio alla politica italiana, ma non come colui che ha sdoganato la destra con il endorsement per il socio bolognese quando correva alla carica di sindaco della capitale nel 1993. 

Fini ha guardato avanti con fare moderatamente distaccato, elencando i principi per i quali deve battersi il Popolo della libertà e non mancando di fare riferimento alle polemiche degli ultimi giorni sulla materia sicurezza.  Ed è giusto così, perché aveva annunciato anche questo durante il pranzo di lavoro con i colonnelli di venerdì: non saremo dei signorsì.

Alleanza nazionale saluta la politica italiana, entrando nel Partito popolare europeo, punto delicato per il suo leader che ha più volte rimarcato anche questo passaggio che ormai si sta per compiere nell’Unione. Un’occasione per attaccare il Partito democratico, convinto che “potesse esistere una terza via” tra il Pse e il Ppe e che ora si trova a fare i conti con idee che non sono al passo con i tempi.

A destra, invece, la nave va.

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Si chiude il sipario

Arriva la primavera e Alleanza nazionale si dà appuntamento a Roma per celebrare la sua fine. Ma nessun de profundis, il fatto che An entri nel Popolo della libertà è soltanto la logica conseguenza di un lungo percorso.

Fini ha detto ai suoi che non saranno una corrente nella nuova formazione, ormai prossima a nascere ufficialmente. An non muore, semplicemente si trasforma e il suo aiuto nel Pdl sarà fondamentale, sempre che le teste si mettano a ragionare seriamente, perché non si sa mai con la classe politica italiana.

Forza Italia è un non partito, non si misura al suo interno con diverse posizioni perché alla fine, quello che conta, è Silvio Berlusconi che mette a posto le cose e che fa circolare l’aria. An viene da una lunga tradizione, ha dovuto superare una lunga fase della nostra politica, ha saputo scrollarsi di dosso il marchio del fascismo. E non è un caso che, in queste settimane che hanno preceduto il congresso del fine settimana, sia tornata ad emergere l’identità di questo partito. Talvolta con troppi accenni ad un passato che non può tornare – leggi i video di Giorgio Almirante su internet -, ma dovuti alla semplice convinzione che An non è Forza Italia e il travaglio è più doloroso.

Gianfranco Fini, l’ideatore di questo vagare, parlerà domenica e solo allora si avranno chiari anche gli ultimi dubbi. Ultimamente tira le orecchie al governo che è un piacere, ma deve essere ormai una sorta di virus che colpisce chi va a fare il presidente della Camera. Tant’è, non è presumibile attendersi qualche colpo di scena.

Alleanza nazionale dovrebbe portare un po’ di organizzazione, di senso di appartenenza che vada al di là delle tessere e delle cariche, elementi che spesso tra gli azzurri berluscones hanno sottolineato i limiti del partito del Cavaliere. Bisognerà scendere a patti, non c’è dubbio.

Ma il sipario, volenti o no, si chiude. E senza troppi clamori, scompare la fiamma, che ci ricordiamo bene essere stata al centro nel solo del simbolo prima del Movimento sociale e poi di An, ma di lunghi – ed inutili – dibattiti.

Ciò che è stato, è stato. Ora è il momento di mettersi al passo con i tempi, con buona pace dei nostalgici che non hanno trovato il coraggio di abbandonare la barca prima che entrasse in porto.

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Il travaglio di An

Dove va Alleanza nazionale? Bella domanda, perché tanto si è parlato del Pdl e spesso si è finiti per discutere di Forza Italia. d’altra parte l’idea del partito unico di centrodestra è venuta a Silvio Berlusconi; lo stesso che ha ideato FI. Gianfranco Fini, sulle prime, aveva detto che no, quella faccenda del predellino in piazza San Babila a Milano non era di suo gradimento. Ora i discorsi sono cambiati e quello che è ritenuto il partito della destra italiana sta per sciogliersi. Un processo indolore per Forza Italia, che partito vero non lo è mai stato. E poi il transito lo ha comandato il capo, al quale nessuno ha mai detto no. Un trauma per An, con tutta la sua organizzazione territoriale e le sue anime, una diversa dall’altra e contraddittorie.
Nel mese che anticipa il congresso del Popolo della libertà, è un fiorire su internet di vecchi video che hanno per protagonista Giorgio Almirante e il Movimento sociale. La fiamma, quell’elemento che le correnti più berlusconiane del partito di Fini avevano già proposto di levare in diverse occasioni. Se ne faceva sempre portavoce Ignazio La Russa di questa idea, poi naufragata tra un mare di parole. I militanti guardano indietro, al passato, e magari pensano: rinnegare mai, ma restaurare? Vale a dire: nel Pdl restaureremo un po’ di Alleanza nazionale?
Da una parte un movimento che ci guadagna (Forza Italia), dall’altra uno che ci smena, costretto a scendere a patti con un mondo troppo diverso: sorrisi, convention dove si decide poco se non nulla, un leader carismatico che al suo addio lascerà un vuoto dietro di sé. An ha sempre cercato di far capire che non è così, già dalla base. Perché Atreju, ad esempio, è roba che appartiene ai giovani di destra, i giovani azzurri non saprebbero nemmeno da che parte cominciare a organizzare un progetto come quello.
Fini ha provato ad alzare la voce, a pretendere un congresso costitutivo che abbia tutti i crismi per chiamarsi tale. Una base “burocratica”, come la sua scuola politica insegna. Berlusconi ne farebbe volentieri a meno. Ma probabilmente dovrà cedere, perché è nella logica dei fatti. E nella logica dei fatti è che Alleanza nazionale metta in conto che la fusione è cosa da fare: se non fosse stato per il Cavaliere, il suo travaglio politico sarebbe stato ancora più doloroso. Almirante è stato. C’è un nuovo mondo davanti.

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