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Cameron è ancora in corsa?

Il primo capitolo dello scandalo che ha colpito News International ha lasciato intendere che il Primo ministro britannico David Cameron è un tipo da non sottovalutare. Circondato da avversari e non solo (scaricato anche dal sindaco di Londra Boris Johnson), Cameron si è presentato di fronte alla House of Commons per rispondere alle insinuazioni e alle accuse nate dalle cattive frequentazioni con i vertici della società di Rupert Murdoch e dall’assunzione dell’ex editor del News of the world Andy Coulson quale addetto alla comunicazione del suo ufficio.

Ha colto l’occasione per contrattaccare, ricordando ai laburisti che non possono fingere di essere immacolati, visti i rapporti che hanno legato tanto Tony Blair quanto Gordon Brown al gruppo editoriale del magnate australiano. Si scommetteva sulle sue dimissioni, ci si è ritrovati con un Cameron ostinato e deciso ad andare avanti.

In attesa di seguire gli sviluppi una volta che James Murdoch sarà tornato di fronte alle autorità ed istituzioni di Londra, il leader conservatore ha spostato l’attenzione della propria agenda politica sul futuro della nazione, richiamando i vertici all’ordine perché la popolazione possa riacquistare la fiducia smarrita dopo la crisi finanziaria, la vicenda sui rimborsi spese che ha colpito il Parlamento alla vigilia delle elezioni di un anno fa, i rapporti oscuri tra polizia, media e politica. La Gran Bretagna soffre di una crisi di confidenza, ha dichiarato Cameron nell’intervista rilasciata a Big Issue, mensile che si occupa di temi sociali e che offre sostegno a disoccupati e senzatetto.

La scelta dell’interlocutore non è casuale dal momento che il Primo ministro, per l’ennesima volta, ha giocato la carta della Big Society, il progetto che ai più pare difficilmente realizzabile e poco chiaro, ma che per Cameron è una delle priorità del suo mandato: là dove lo stato non può arrivare, devono pensarci le associazioni private. Facile nelle intenzioni, meno nell’applicazione. “La Big Society vuole creare una cultura dove la gente si chieda ‘cosa posso fare di più?'”, sono le parole usate da Cameron. Il dovere del cittadino non è solo quello di pagare le tasse e rispettare la legge, va oltre.

Perché accada, ha lasciato intendere, è necessario che il Paese torni ad avere fiducia nei propri mezzi e nella classe dirigente e che gli inglesi rispolverino l’orgoglio di sentirsi membri di una stessa comunità. I sondaggi dicono che l’opinione pubblica non ha irrimediabilmente bocciato Cameron per le amicizie con Rebekah Brooks e la famiglia Murdoch e così, lui, forte anche del riconoscimento arrivato da alcuni critici per la dose di capacità politica con la quale ha gestito la situazione, ha rilanciato.

E con tutte le differenze del caso, sembra di rivedere la scena di un Primo ministro conservatore con il volto di Hugh Grant che ricorda come la Gran Bretagna, dopo tutto, sia la terra di Churchill, Sean Connery e del piede destro di David Beckham.

(via notapolitica.it)

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UK alla prova referendaria

Domani mattina i britannici andranno alle urne non solo per le amministrative ma soprattutto per votare il referendum sul sistema elettorale. I sudditi di Sua Maestà si dovranno esprimere sul passaggio dall’attuale maggioritario uninominale a meccanismo proporzionale con preferenza: una svolta a U per un Paese dove da sempre il primo della lista prende tutto. L’Alternative vote, come è stato ribattezzato, è un vecchio cavallo di battaglia liberaldemocratico. Non è un caso che Nick Clegg e i suoi abbiano imposto il referendum come condizione per aiutare Cameron a formare una maggioranza parlamentare dopo il risultato di un anno fa. Dopo decenni di dominio di laburisti e conservatori, per la prima volta in UK i partiti minori potrebbero avere uno spazio nell’arena politica.

(continua su Linkiesta.it)

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Il Regno dopo la festa

Smaltita la sbornia, è ora di cercare di capire cosa significhi per la Gran Bretagna il tanto celebrato Royal Wedding. Perché non è stato solo il pretesto per scatenare il gossip, la cronaca rosa e per spedire giornalisti a Londra in caccia di notizia, prontamente apprese dai quotidiani locali o internazionali. Non è stata solo l’occasione per alcuni cosiddetti esperti di dare i voti agli abiti, ai cappelli, ai fiori, agli abbinamenti dei colori e di porsi domande esistenziali (una su tutte quella di Francesca Senette su La7 che, turbata dall’eventualità del cattivo tempo, si è chiesta se Kate Middleton indossasse biancheria intima bianca sotto il vestito da sposa). Il Royal Wedding avrebbe potuto fornire una panoramica sullo stato di salute di quello che fu un impero, poi uno stato che si è trovato da solo a contrastare l’espansione nazista, poi un regno dove hanno trovato spazio alcune rivoluzioni culturali e popolari del Novecento.

(continua su Notapolitica.it)

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I guai sanitari di Cameron

C’è un doppio fronte dalle parti di Downing Street al quale prestare attenzione. Perché se il governo britannico è alle prese con la matassa Musa Kusa, il ministro degli Esteri libico che nei giorni scorsi è fuggito da Tripoli a Londra, che per alcuni è una risorsa nella guerra con Gheddafi mentre per altri non rappresenta il massimo delle garanzie, c’è una campagna interna da portare a casa e presto. Durante l’ultima campagna elettorale, David Cameron fece infatti della riforma della sanità uno dei punti cruciali del programma conservatore, ma ad un anno di distanza le cose si sono complicate e i nodi sono venuti al pettine nella settimana decisiva per la sua discussione.

(continua su Linkiesta.it)

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La partita di Cameron

David Cameron è stato tra i primi leader europei a mettersi in mostra di fronte alla vicenda libica, peccato per lui che la scena gli sia stata rubata dal presidente francese Nicolas Sarkozy che, in pieno spirito da grandeur, ha trascorso un intero giorno ad annunciare che i suoi caccia avrebbero bombardato le forze di Gheddafi nel giro di poche ore, salvo aspettare la notte di sabato perché effettivamente entrassero in azione. Nel frattempo, venerdì scorso il Primo ministro britannico ha reso chiari i suoi pensieri prima in un’intervista concessa a Sky News. Le lancette dell’orologio che correvano, la necessità di fare qualcosa il più presto possibile, il dovere morale di non tirarsi indietro per dare una mano ai ribelli del regime: questi in sostanza i punti cardine del pensiero cameroniano.

(continua su RightNation.it)

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Big Society. Sorry?

È una questione di priorità. Per il Primo ministro conservatore David Cameron è la Big Society, punto centrale del manifesto politica presentato nel corso della campagna elettorale della scorsa primavera. Cosa sia di preciso non si sa e anche per questo è una priorità: nel senso che qualche chiarimento farebbe comodo, anzitutto allo stesso Cameron che non si è ancora scrollato di dosso quell’aurea un po’ fumosa che lo accompagna da tempo, ormai.

Tant’è: lunedì di fronte ad una platea fatta di gente che si rimbocca le maniche nel sociale, accompagnata da alcuni imprenditori che operano in questo settore, ha fatto sapere che per lui è un “dovere” quello di sistemare la cose in Gran Bretagna che va al di là delle tante critiche sollevate dai piani economici, tra spese tagliate e tasse in aumento. Il dovere di ridurre il debito pubblico passa da qui, oltre che dalla manovra di 113 miliardi di pound varata negli scorsi mesi sotto la regia del Chancellor George Osborne. E se alcuni servizi non potranno essere adeguatamente prestati dallo Stato, tanto meglio perché a quel punto sarà la Big Society a sopperire alle mancanze e, indirettamente, a respingere i tentacoli dell’assistenzialismo e dello statalismo in generale.

“Non ci renderà popolari”, ha avvertito il messianico David. “Ci renderà infatti impopolari. Mi renderà impopolare”, ha sottolineato con la retorica che lo caratterizza, “ma questo è il mio dovere: dobbiamo farlo per il bene del Paese”.

Un progetto che non piace a molti, soprattutto ai sindacati. Bob Crow, che guida quello dei trasporti, ci è andato giù pesante accusando Cameron di voler sostituire le “lollipop ladies”, le vigilesse che regolano il traffico all’uscita dalle scuole dei ragazzi con dei volontari, “mentre ai banchieri responsabili di questa crisi si prospettano altri sei miliardi di sterline come bonus”.

Ma la priorità del Primo ministro dovrebbe essere un’altra: quella di farsi capire. A gennaio il 63% dell’elettorato britannico non aveva ben chiaro o non capiva del tutto cosa significasse la politica della Big Society. Nelle ore successive al discorso di Cameron, la percentuale è salita al 74%.

L’idea più chiara di tutti forse ce l’ha Tony Blair: “Aspettiamo e vedremo in cosa consiste”. Pure un volpone come lui ha rinunciato a capire Cameron.

(da Rightnation.it)

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Politica al lavoro in UK

Le cronache che ci giungono dalla Gran Bretagna dimostrano che la politica è più che mai viva, per lo meno in quella parte d’Europa. Perché se in Italia siamo alle prese con un crisi che di politica ha ben poco – è solo una resa dei conti tra due leader che hanno tentato di vivere forzatamente sotto lo stesso tetto -, a Londra qualcosa si sta muovendo.

Con gli scontri tra polizia e studenti che hanno coinvolto anche l’automobile a bordo della quale c’era il principe Carlo, i liberaldemocratici sono dovuti venire a patti con la realtà. Durante la scorsa campagna elettorale, fu infatti Nick Clegg a dichiarare che il suo partito non avrebbe assolutamente ritoccato le rette universitarie: ieri, invece, ha definito “sognatori” i manifestati che hanno invaso strade e piazze attorno alla House of Parliament per mostrare tutta loro rabbia sulle “tuition fees”, la big issue fresca di approvazione alla maggioranza di governo. Non bisogna infatti dimenticare che Clegg deve il (magro) successo alle General Election ai favori raccolti dal suo partito nelle fasce d’età più giovani dell’elettorato, specie tra gli universitari.

C’è poi dell’altro che apparentemente fa da sfondo, ma che in realtà è la cornice del quadro attuale. Risuonano ancora negli ambienti conservatori le parole dell’ex Primo ministro John Major che qualche settimana fa si augurò di vedere all’opera per lungo tempo la coalizione Tories – Libdem. Sono però in tanti a pensarla in modo diverso, tanto che sul blog di riferimento dei conservatori britannici (http://conservativehome.blogs.com/thetorydiary/2010/12/what-is-mainstream-conservatism.html) sono al lavoro per mettere nero su bianco un manifesto politico, quello del Mainstream Conservatism, dove far trovare alloggio alla social justice di Iain Duncan Smith, al civil libertarianism di David Davis, all’internationalism di Andrew Mitchell. Il punto centrale è quello della crescita economica perché se questa sarà garantita, allora i conservatori potranno vincere nuovamente le elezioni. Una spicciola esemplificazione del concetto per cui quando i cittadini si recano alle urne, guardano alla salute delle loro tasche.

A concludere il tutto, il colpo di spada nei riguardi degli alleati che i Tories più puri proprio non sopportano. Il Mainstream Conservatism è il Popular Conservatism, vale a dire l’opposizione ad un superstato europeo, una tassazione più bassa e il conseguente trattamento corretto nei riguardi dei contribuenti, un contrasto duro al crimine. Temi sui quali cerca di far presa la destra britannica dello United Kingdom Independent Party e del British National Party. Sono cause queste “sostenute dalla maggioranza del popolo, ma non dalla maggioranza di sinistra del Liberal Democrat party”.

La politica, Oltremanica, è ancora sveglia. Tanto che i conservatori al governo non temono di ricordare al premier David Cameron che un progetto di Big Society esiste già (il civil libertanism sopra citato di Davis) o di rammentargli che la coalizione ha al suo interno due anime troppo diverse su alcuni punti chiave dell’agenda. Tutto questo senza cadere nel teatrino del gioco delle parti e delle ripicche personali, perché dopo tutto c’è un Paese da rimettere in sesto.

Da Right Nation

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Rebel Rebel

Hanno chiesto scusa per le battute della campagna elettorale e hanno assicurato che la coalizione è destinata a durare per cinque anni. Ieri hanno lanciato ufficialmente il programma del governo. David Cameron e Nick Clegg sono cordiali tra loro, sorridenti, volenterosi, ma il Primo ministro conservatore deve fare bene i conti: 118 ribelli conservatori hanno detto di no al patto tra i Tories e i liberaldemocratici.

Prima ancora del Queen’s Speech, momento in cui la Gran Bretagna verrà a conoscenza di quelle che sono le intenzioni del primo anno del governo, Cameron ha una fronda all’interno del suo partito. E per tutta risposta ha deciso di alzare le tasse alla middle class. Le voci della vigilia sono state confermate: in materia fiscale, i discendenti di Maggie hanno ceduto al terzo partito d’Oltremanica.

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David Cameron, Primo ministro

Il leader dei conservatori David Cameron ha ricevuto dalla regina Elisabetta II l’incarico di formare il nuovo governo del Regno Unito. Lo farà con una coalizione alla quale parteciperanno i liberaldemocratici di Nick Clegg per il quale già si parla di un ruolo da vice di Cameron, mentre George Osborne avrà le chiavi dell’economia in qualità di Chancellor of the Exchequer. La sfida del nuovo esecutivo, secondo le intenzione di Cameron, è di assicurare una “piena coalizione” per affrontare i problemi della Gran Bretagna e ridare responsabilità alla politica e alla società.

L’addio di Gordon Brown

Il laburista Gordon Brown si è dimesso dalla carica di Primo ministro una volta apparsa chiara che l’ipotesi di un patto con i lib dem era divenuto impossibile. Brown si è detto “privilegiato” per aver potuto servire il Paese sia come segretario che come capo del governo. Una volta raggiunto il quartiere generale del partito laburista in Victoria Street, ha nuovamente ringraziato tutti coloro che lo hanno affiancato, tra cui Tony Blair. Poi, commosso, ha ringraziato anche la moglie Sarah.

Tredici anni dopo la rivoluzione del New Labour, i Tories sono tornati a Downing Street.

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Keep calm

Se David Cameron è il New Churchill, chissà che faccia farebbe il vero Winston a vedere un accostamento del genere. L’amico Simone ha una gran voglia di vedere un Primo ministro conservatore al numero 10 di Downing Street e noi con lui, ma è buona cosa rallentare, rifiatare e ripartire. Non tanto perché Churchill venne chiamato a guidare un governo di coalizione con la Seconda guerra in corso, la Francia ormai conquistata dai nazisti e la Lutwaffe pronta a scatenare l’inferno sui cieli britannici per preparare l’invasione terrestre dell’esercito di Hitler (e dunque lo scenario non è assolutamente paragonabile a quello di oggi); quanto per via del fatto che Sir Winston aveva il polso della situazione e nessuno avrebbe nemmeno osato chiedere di trattare con lui.

Cameron e Clegg si stanno parlando da giorni, ormai. E se è vero che il loro interesse è quello di salvaguardare l’economia della Gran Bretagna, le troppe ore spese a raggiungere un accordo non fanno altro che smentire i loro presupposti. I numeri dicono che i conservatori hanno 305 seggi, i liberaldemocratici 57. I primi ne hanno conquistati 97 rispetto al 2005, i secondi ne hanno persi 5. Quanto altro tempo occorre a Cameron per mettere alle strette Clegg, al quale offre l’insperata occasione di passare da terzo incomodo trombato ad alleato di governo? Churchill se lo sarebbe pappato a colazione e poi ci avrebbe fumato sopra un ottimo sigaro.

Keep calm, gentlemen, con certe uscite. Che Cameron è già arrivato corto una volta, non vorremo mica bruciargli anche questa volata, no?

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