In Italia il Presidente della Repubblica è simbolo non tanto di unità nazionale (vecchia leggenda costituzionale) quanto di falso moralismo. Le cronache ci inondano con fatti di sangue, gente ammazzata e appartamenti svuotati. Si sente parlare di arresti di bande di delinquenti stranieri e italiani. Dopo l’indulto, per quanto si sforzino gli ipergarantisti di casa nostra, la situazione è ulteriormente peggiorata. In tutto questo baccano, il governo Prodi non ha mai dato segni di vita e il ministro degli Interni Giuliano Amato non fa eccezione.
Al contrario Giorgio Napolitano si fa sentire, rilanciando il vecchio adagio che i nemici ce li abbiamo in casa, non vengono da fuori. Così i rom si trasformano in pecorelle smarrite alla ricerca del buon pastore, la società, che le conduca all’ovile. Traduzione: noi italiani, con tutti i problemi che ci portiamo appresso, dobbiamo pure insegnare agli immigrati come si vive dalle nostre parti.
E’ evidente che al Quirinale non fanno i conti tutti i giorni con queste truppe di sbandati che riempiono non più solo le grandi città, ma anche i piccoli centri e lentamente i paesi di campagna. Il loro arrivo ha l’effetto di un uragano che sconvolge tutto attorno, ma a pagarne gli effetti sono solo i cittadini. Perfino le autorità e le istituzioni locali, seguendo alla lettera il pensiero presidenziale, invitano i padroni di casa a rendersi disponibili e ad imparare la buone maniere di accoglienza, perché questi poveri disgraziati non vanno lasciati soli.
Peccato che siano pochi, se non pochissimi, quelli che si attengono alle regole. La maggior parte degli immigrati pretende da subito quello che nemmeno un comune italiano oggi può permettersi: sicurezza economica e stabilità famigliare. Ma al nostro Presidente la cosa non pare interessare granché: non possiamo farci gli affari nostri, siamo obbligati a prendere a cuore quelli degli altri.