Archivi del mese: novembre 2007

Se Napolitano esonda

  In Italia il Presidente della Repubblica è simbolo non tanto di unità nazionale (vecchia leggenda costituzionale) quanto di falso moralismo. Le cronache ci inondano con fatti di sangue, gente ammazzata e appartamenti svuotati. Si sente parlare di arresti di bande di delinquenti stranieri e italiani. Dopo l’indulto, per quanto si sforzino gli ipergarantisti di casa nostra, la situazione è ulteriormente peggiorata. In tutto questo baccano, il governo Prodi non ha mai dato segni di vita e il ministro degli Interni Giuliano Amato non fa eccezione.

  Al contrario Giorgio Napolitano si fa sentire, rilanciando il vecchio adagio che i nemici ce li abbiamo in casa, non vengono da fuori. Così i rom si trasformano in pecorelle smarrite alla ricerca del buon pastore, la società, che le conduca all’ovile. Traduzione: noi italiani, con tutti i problemi che ci portiamo appresso, dobbiamo pure insegnare agli immigrati come si vive dalle nostre parti.

  E’ evidente che al Quirinale non fanno i conti tutti i giorni con queste truppe di sbandati che riempiono non più solo le grandi città, ma anche i piccoli centri e lentamente i paesi di campagna. Il loro arrivo ha l’effetto di un uragano che sconvolge tutto attorno, ma a pagarne gli effetti sono solo i cittadini. Perfino le autorità e le istituzioni locali, seguendo alla lettera il pensiero presidenziale, invitano i padroni di casa a rendersi disponibili e ad imparare la buone maniere di accoglienza, perché questi poveri disgraziati non vanno lasciati soli.

   Peccato che siano pochi, se non pochissimi, quelli che si attengono alle regole. La maggior parte degli immigrati pretende da subito quello che nemmeno un comune italiano oggi può permettersi: sicurezza economica e stabilità famigliare. Ma al nostro Presidente la cosa non pare interessare granché: non possiamo farci gli affari nostri, siamo obbligati a prendere a cuore quelli degli altri.

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Un uomo del Risorgimento

“Mio cugino (…) era e restò un uomo del Risorgimento: populista ma non banale, orgoglioso ma non superbo, polemista ma incapace di odio. E alla fine fu un uomo chiuso, duramente deluso, malinconico”.

(Pietrino Bianchi, critico cinematografico, a proposito del cugino Giovannino Guareschi. Da “Guareschi”, di Beppe Gualazzini, Editoriale Nuova, Milano, 1981)

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ll nuovo partito? Io l’8 settembre scrivevo che…

Qui di seguito trovate la brutta del tema che ho svolto lo scorso 8 settembre per l’esame scritto di ammissione all’Istituto Carlo De Martino di Milano. Rileggendola, tra cantonate e altre errate considerazioni, trovo che quanto sta accadendo in queste ore il sottoscritto lo aveva previsto con due mesi e passa di anticipo. Poi è andata a finire come è andata a finire, ma un po’ me la tiro e andrò in giro a vantare un personalissimo occhio di falco.   

La costituzione di un partito unico nel centrosinistra ha aperto nuovi scenari anche nella Casa delle libertà e ha messo i suoi leader di fronte ad un nuovo problema: come affrontare il prossimo Pd? A questa domanda su aggiunge il ruolo del trascinatore della coalizione di minoranza, Silvio Berlusconi. Si ritirerà della leadership o continuerà a pretendere un posto in prima fila? 

E’ stato lo stesso Cavaliere a dettare i nuovi tempi del centrodestra affidando all’astro nascente Michela Vittoria Brambilla il delicato ruolo di costituire una base territoriale e nazionale attraverso i Circoli della libertà e facendole depositare nome e logo dell’ipotetico Partito delle libertà. Ipotetico e, attualmente, improbabile considerate le posizioni degli altri leader della Casa delle libertà. 

Pierferdinando Casini non pare dell’umore giusto per intraprendere questa avventura. In questo primo scorcio di legislatura l’ex presidente della Camera ha più volte preso le distanze dal resto della coalizione, attirandosi le critiche dei colleghi e le sfuriate di Berlusconi. Pur ricordando che è impensabile un suo passaggio nella maggioranza, Casini è l’uomo di mercato nel campionato politico in corso. Rutelli ha parlato di “alleanza di nuovo conio” per il Pd e l’Udc sembra il reale obiettivo della nuova strategia. 

Anche la Lega di Umberto Bossi ha le idee chiare a riguardo. Il popolo del nord faticherebbe a digerire un totale inglobamento della Lega in un partito unico e questo Berlusconi lo sa, al punto che il suo vice Giulio Tremonti è da sempre impegnato nei colloqui con l’alleato più scalpitante. Dunque un’unica formazione con la Lega al suo interno è davvero improbabile, mentre una federazione ed una comunione di intenti su alcuni temi chiave (sicurezza, fisco e immigrazione) sembrano essere più plausibili. 

A questo punto rimane solo il grande interrogativo di Alleanza Nazionale. Questa estate Gianfranco Fini ha dovuto fare i conti con l’uscita di Storace, esponente dell’anima sociale del partito. I suoi colonnelli non sono più fedeli ed obbedienti come prima e An continua a perdere voti a vantaggio di FI. Forse è per questo motivo che Fini è il più disponibile ad una unione tra i due pilastri del centrodestra. Da una parte metterebbe i suoi di fronte a nuove responsabilità, distogliendoli dalle beghe interne; dall’altra potrebbe presentarsi come il futuro candidato del Pdl. Il rischio di una simile azione è di smarrire l’identità della destra, di quella più conservatrice in special modo. Ciò non toglie che una nuova forma di conservatorismo italiano non possa trovare spazio proprio nel Pdl. La svolta sarkoziana di Tremonti, annunciata durante una lezione alla scuola estiva di Forza Italia, sarebbe di buon gradimento da parte dell’eterno delfino di Almirante. Senza dimenticare che il primo a parlare di partito unico fu proprio Fini. 

E Forza Italia? L’esperienza dei Circoli della Brambilla non piace a Tremonti che teme di essere spodestato dalla sua posizione di capitano in seconda. Bondi le dedica poesie, ma non la invita a Gubbio quando il tema della tre giorni ruota proprio attorno all’identità di Forza Italia. Viene spontaneo pensare che parte del partito berlusconiano non voglia mischiarsi alle altre realtà, siano esse i Circoli o altri gruppi, finiani compresi.  A questo punto pare che l’unico a volere un cambiamento sia il solo Berlusconi, capace di attirare i consensi che gli occorrono tra gli elettori.

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Il nuovo partito

Forte delle otto milioni di firme raccolte in tutta Italia, Silvio Berlusconi ha presentato il Partito del popolo delle libertà questa sera, presentandosi in conferenza stampa con un po’di fiatone. Non più la disinvoltura dei giorni passati, ma con la concentrazione giusta per i momenti che contano davvero. Ha stravolto le carte sul tavolo, cogliendo impreparati alleati e avversari, ha detto chiaro e tondo che, in questo momento, il bipolarismo in Italia non è possibile ed allora ecco che nasce questo nuovo movimento per vedere di combinare qualche cosa. Si dimostra disponibile al dialogo con l’attuale maggioranza, ma non perde di vista il suo reale obiettivo, le elezioni. Promette che il nuovo partito sarà democratico, che alle decisioni parteciperà la base, che è ora di finirla con i parrucconi e i mestieranti di Palazzo che non capiscono le esigenze della popolazione. Lo fa parlando di euro, competitività, fabbisogno energetico, politica sociale e sicurezza.  

Il Cavaliere è in gran forma, si vede che l’aria milanese di piazza San Babila lo ha rigenerato. Ha dichiarato di essere pronto per un giro d’Italia per lanciare il Partito del popolo delle libertà, che lo stesso nome sarà sottoposto al giudizio degli elettori chiamati a scegliere fra questo nome e l’opzione Partito delle libertà. Ha chiarito le posizioni della Lega, da sempre la compagine autonoma del centro-destra. Ha detto che le porte sono spalancate a tutti, riferendosi ad An e Udc, al cui interno Giovanardi ha già fatto sentire la sua voce chiedendo che confluisca nel nuovo progetto. 

Come nel ’93, ma siamo nel 2007. Berlusconi si è rimesso in discussione, è tornato a fare l’elogio della pazzia ed è la cosa che gli riesce meglio. Noi che ci siamo augurati tante cose negli ultimi cinque anni, rimanendo a volte delusi, siamo rimasti anche un po’ spiazzati ora. Non c’è come essere un romantico conservatore al giorno d’oggi. Però forse vale davvero ancora la pena di fidarsi di Silvio.

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Ora che si fa?

Adesso si può cominciare a ridere amaramente. Lamberto Dini è stato il salvatore della Patria, colui che ha votato la legge finanziaria per “senso di responsabilità”, ma che non ha esitato a prendere le distanze dalla stessa maggioranza di cui fa parte. Il risiko del Senato è questioni di numeri piccoli che fanno una grande differenza. Ed i liberaldemocratici di Dini sono stati il tassello fondamentale per Prodi al fine di rimanere in piedi.  

Ora che si fa? La domanda giunge opportuna, perché lo scontro sulla Finanziaria era trattato come lo sconto per eccellenza, come lo spareggio per non retrocedere o per essere promossi, dipende dai punti di vista. Il primo è quello del centrosinistra, il secondo del centrodestra. Bocciatura rimandata, promozione ancora ben lontana dal realizzarsi. Ora, dunque, che si fa? La campagna acquisti di Berlusconi non è stata vincente, un po’ come capitato al Milan nelle ultime stagioni. Un conto però è perdere il campionato o l’ultimo posto utile per la Champions League; un altro è perdere il controllo della situazione parlamentare italiana. 

Casini aveva promesso che questa settimana il governo sarebbe caduto. Lo ha ripetuto un paio di volte a distanza di pochi istanti durante l’intervento a Montecatini. Berlusconi ha precisato che lui non ha mai parlato di spallate, ma ha lasciato intendere che ci sperava, almeno in una lussazione. Dopo il giovedì thrilling di ieri, la botta se l’è presa proprio il centrodestra. 

“Non possiamo permetterci il lusso di lasciare il Paese a Berlusconi”: si tratta della storica frase con la quale Paolo Centro tagliò corto dopo la crisi dello scorso anno sulla politica estera e lo scivolone in Senato. Ai leader della sinistra italiana non importa che il nostro sistema sia impantanato, loro governano per ripicca, per fare uno sgarbo al Cavaliere. La vendetta è cattiva consigliera quando c’è di mezzo la res publica, ma basta ispezionare il volto (e la formazione) di Romano Prodi per capire che essa rimane l’unico motivo per il quale rimangono aggrappati alla sedia.  

D’altra parte loro sono quelli antropologicamente superiori; loro sono quelli che possono permettersi di dare a noi giovani dei “bamboccioni”; loro sono quelli che vedono in Walter Veltroni, massimo esponente del politically correct (e quindi della superiorità antropologica de sinistra), il nuovo che avanza, evitando accuratamente di indicare una soluzione ai problemi. 

C’è un gran casino in questo casino. Rimangono solo due costanti: nel defunto Polo, l’unico a darsi una mossa è Berlusconi, che per lo meno ci ha provato. Fini oggi rilancia sulla legge elettorale, per quanto da queste parti si ritenga necessaria prima una revisione della costituzione. Casini quando parla non sembra lui, quando agisce torna ad essere se stesso. Gira la voce, infine, che la Lega sia pronta a trattare con la sinistra per le riforme che più le stanno a cuore. Ci auguriamo di no, speriamo che agisca di testa e non solo di istinto. L’altra costante è che questo governo (sai che novità?) non può fare a meno dei voti dei gruppi più estremisti e, allo stesso tempo, di quelli che mal digeriscono comunisti e compagnia bella.   Insomma, non rimane che attenderli al varco, che Prodi si uccida da solo o per mano dei congiurati veltroniani. Le campagne acquisti non faranno molta strada. Tanto vale iniziare a pensare seriamente alla prossima stagione.

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Ed io dovrei firmare?

La maggioranza risicata ha vinto la sua sfida al Senato ottenendo l’approvazione della Finanziaria. La spallate non è arrivata, piuttosto è più probabile si tratti di lussazione. Il prode Lamberto Dini, così bravo ad incarnare i vizi da vecchia politica dopo i fatti del ’94, ha replicato e pur facendo intuire che in questo centrosinistra lui non sta bene, ha consegnato il voto suo e dei suoi colleghi. Da parte del centrodestra va segnalata la grande prestazione del senatore azzurro che pare abbia sbagliato a premere il tasto “favore” o “contrario”, facendo un favore al governo. 

Tutto questo nel frenetico giovedì di palazzo. Prodi mangerà il panettone anche quest’anno come l’anno scorso e, mettiamoci davvero il cuore in pace una volta per tutte, la storia si ripeterà finché non sarà il Pd a mangiare lui. D’altra parte, la famosa campagna acquisti del Cavaliere non ha funzionato, in compenso da oggi a venerdì siamo chiamati a firmare per mandare a casa questo esecutivo.   Tempo perso, sprecato.

Tempo da impiegare a fare dell’altro. Magari a ragionare seriamente di politica.

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Detto tutto

Lamberto Dini sembrerebbe pronto a votare la Finanziaria. Ma a licenziare il governo. Se è questa la famosa campagna acquisti, nemmeno il quarto posto arriva quest’anno.

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Come un vecchio giocatore

Silvio Berlusconi è un comunicatore così bravo che riesce perfettamente a riciclare i suoi discorsi da un po’ di tempo a questa parte, adeguandoli alle diverse occasioni. Ha trovato la ricetta giusta con la quale condire la platea che lo ascolta e riesce sempre e comunque a strappare applausi.  Ricordi dei tempi che furono, della nascita di Forza Italia, partito che ha sconvolto l’ambiente politico italiano; pacche sulle spalle ai colleghi di turno per creare il giusto clima familiare; aneddoti sulla vita privata e professionale: in mezzo un po’ di tutto, sempre rivolgendosi al passato, poco al presente. Quasi mai al futuro. Non è un caso che il riferimento alla federazione di centrodestra sia arrivato tardi a Montecatini, quando ormai il più era stato detto.   Si può presumere che il Cavaliere non sappia cosa inventarsi per ridare vita al centrodestra. Oppure si è davvero rotto le scatole e vive di rendita, come fa un vecchio giocatore che ha poco fiato, ma ottimo senso della posizione.  Dopo tutto rimane l’unico al quale, oggi come oggi, si possa affidare la Casa delle libertà.

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Prova

Questo è solo un primo post di prova.

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